Siamo a Casablanca. La città più grande del Marocco. La sua capitale economica. I luoghi comuni la associano alle operazioni per il cambio di sesso e al magnifico film con Humphrey Bogart e Ingrid Bergman, giudicato il miglior secondo film di tutti i tempi nonché il film con la migliore scenografia di sempre. Ma Casablanca è molto altro. Una città poco più che centenaria, nata sulle rovine di una vecchia città berbera distrutta da un terremoto, è una città quasi europea.
Ci svegliamo a Mohammedia. Io ancora un po’ di febbre, ma anche gli altri non sono il ritratto della salute. L’influenza ha lasciato loro una brutta tosse.
Alla fine sappiamo che non esiste un viaggio semplice. Questo, per temperature, chilometraggio e altimetrie doveva essere decisamente facile, soprattutto se lo confrontiamo agli ultimi che abbiamo affrontato. Invece l’influenza lo ha reso comunque complicato.
Libero, il babbo di un nostro amico, diceva sempre: “Ragazzi, ricordatevi che dopo venti chilometri è un viaggio“, nel senso che possono capitare i più disparati imprevisti. Ecco, il nostro viaggio è l’estensione di questo concetto.
Ci prepariamo con molta calma per pedalare i trenta chilometri che ci separano da Casablanca.
Riprendiamo la strada principale che non ha un granché da offrire come panorami. Siamo di fianco all’oceano, ma non lo vediamo. Lunghe recinzioni delimitano i terreni in costruzione, sui quali sorgeranno residence di lusso e villette. Al lato strada c’è uno spesso strato di gusci di frutti di mare; sono gettati dai raccoglitori/venditori di molluschi. Raccolgono i frutti di mare nell’oceano che raggiungono infilandosi oltre la recinzione, puliscono sul posto raccogliendoli e mettendoli in mostra su dei piatti e li vendono in buste trasparenti, e una volta consumati puoi andare serenamente in ospedale nel reparto di gastroenterologia.
Davanti a noi Casablanca. Una lunga passeggiata a mare ci conduce nel centro della città. Ci fermiamo per uno spuntino a goderci un sole caldo come una bella giornata di maggio.
Poco dopo le due del pomeriggio siamo all’hotel de Paris, un hotel in pieno centro risalente ai primi anni del novecento. Non è bellissimo, ma alcuni richiami alla Belle Époque ed un personale attento e fin troppo servizievole lo rende un’ottima scelta.
Lasciate bici e bagagli che, giusto il tempo di scaricarli, ci vengono portati in camera, usciamo per una breve visita della città.
Attraversiamo la Medina, relativamente piccola, ma sempre caratteristica e vivace con i suoi souq dove trovare di tutto, e i bambini che giocano con il pallone, in ciabatte, tra gli stretti vicoli.
Qui i bambini giocano ancora per strada, tutti insieme: a nascondino, dietro un pallone o qualsiasi altro gioco, ma senza un cellulare in mano. Quando passiamo ci salutano, ci passano la palla o ci fanno una linguaccia.
Arriviamo alla Moschea di Hassan II, un immenso monumento affacciato sull’oceano. È recentissimo. Completato nel 1993 dopo sei anni di lavoro da parte di più di 30 mila artigiani è dominato da un enorme minareto, quello che nelle chiese è il campanile, che con i suoi 210 metri di altezza è il più alto del mondo.
I mosaici arabi, le gigantesche porte e la piazza in grado di ospitare 80 mila persone impressionano. Tutto è costruito in grande e tutto è bellissimo. Purtroppo non ci è permesso visitare l’interno della moschea.
Torniamo in hotel. Io, ancora un po’ debole mi riposo rimanendo in stanza con Michelangelo, Niccolò e Micky escono per fare un giro per i negozi.
Per cena vogliamo mangiare del pesce, per partecipare anche noi al cenone della vigilia di Natale. Ci consigliano di andare il mercato centrale, un souq coperto costruito a inizio ‘900, famoso per il pesce fresco e chioschi cibo; precisamente ci consigliano Chez Michel Et Hafida. Lì troveremo il pesce migliore e più fresco della città.
Ci fidiamo del suggerimento e andiamo. Essendo sera tanti banchi del pesce sono chiusi o stanno chiudendo, così come i chioschi di cibo.
Fortunatamente Chez Michel Et Hafida è aperto. Quattro tavoli di numero in una strada interna al souq buia buia e una cucina a vista non esattamente pulita, non bastano a scoraggiarci, anche se onestamente per il nostro cenone di Natale immaginavamo un ristorante un pochino più elegante, magari che che richiamasse le atmosfere dei primi anni del ‘900.
Ordiniamo una insalata di mare per due, due zuppe di pesce, una paella, una grigliata di pesce e delle verdure grigliate. Il tutto accompagnato da salsine varie. Il tutto per circa quarantadue euro.
Nonostante il posto non sia elegantissimo, la qualità del cibo rispecchia la reputazione del locale.
È ora di rientrare all’hotel de Paris. In camera apriamo uno dei due panettoni e uno dei due pandori, in formato mini, portati dall’Italia. Poi a letto davvero, domani dovrebbe essere una giornata semplice, ma si sa dopo venti chilometri è un viaggio.