Siamo in un campeggio poco dopo Laugarvatn, un villaggio di 200 anime, un mini market, ed una università con le facoltà di sport, studi per il tempo libero e educazione sociale. Chissà la vita di eccessi e divertimenti hanno gli studenti…
Ci svegliamo a Þingvellir (dimenticavo, Þ si pronuncia come il th inglese). La giornata è parzialmente soleggiata. Fino ad oggi nei campeggi eravamo l’unica tenda tra tanti camper e van, grandi e piccoli, camperizzati. Stamani il campeggio è punteggiato da tante tende colorate.
Scambiamo due parole con due ragazzi svizzeri in bicicletta alla loro prima avventura su più giorni, facciamo colazione e partiamo.
Costeggiamo il lago Þingvallavatn, in un susseguirsi di lunghi e ripidi saliscendi. Ora lo abbiamo accanto, ora abbiamo una visuale più ampia dall’alto. Di fronte a noi una montagna di roccia scura e friabile che sembra sul punto di crollare.
Pedaliamo fino all’ora di pranzo, quando ci fermiamo nei pressi di una piccola area di sosta con un tavolo e delle panche protette da un muretto a secco. Intorno, quello che a prima vista sembra un prato verde, è una distesa di muschio con i colori che variano dalle tonalità del verde a quelle del giallo. È soffice come un cuscino, tanto che è impossibile resistere alla tentazione di stendersi sopra.
Pranzo a base di pane con Philadelphia e prosciutto cotto, o almeno, quella confezione di quadratini rosa che sembrano prosciutto cotto.
Finiamo di mangiare. Mentre ci prepariamo arrivano i due ragazzi svizzeri incontrati in campeggio; ci salutiamo, gli cediamo il posto e proseguiamo.
Attraversiamo ora il piccolo villaggio di Laugarvatn. Facendo una piccola deviazione ci sarebbe un laghetto caldo con delle terme piuttosto conosciute, ma decidiamo di proseguire e fermarci all’unico mini market per fare la spesa. I villaggi sono pochi, distanti, e sono pochi quelli che hanno un mini market.
Una bella spesa contribuisce a rifornire una dispensa ormai limitata.
Approfittiamo della sosta per fare uno spuntino prima di ripartire.
Ci rimettiamo in sella. Mancano ormai poco meno di quindici chilometri al campeggio nel quale dormiremo e sette chilometri ad una fattoria che offre tutta una serie di prodotti naturali tra cui il gelato. Non possiamo resistere pertanto affrontiamo la ripida salita che conduce alla fattoria, parcheggiamo le bici ed entriamo.
Il locale è arredato in maniera rustica. Il pavimento e le pareti sono in legno invecchiato.
Di fronte alla porta di ingresso il bancone con i gelati ed una ragazzina bionda. Minuta una bella testa di capelli lisci di un biondo chiaro. Il viso magro con un naso decisamente a patatina all’insù.
Ordiniamo quattro gelati da due gusti in coppetta per un totale di 3200 corone, circa 23 euro. Sarà sicuramente eccellente.
Ci accomodiamo nella saletta attigua per assaporare il nostro carissimo ed eccellente gelato. Una parete di vetro ci separa dalla stalla. Mentre noi gustiamo il nostro gelato le mucche gustano il loro fieno.
Il responso sul gelato è unanime. Acquoso dal sapore poco marcato per ogni gusto che abbiamo assaggiato: cioccolato, arancia, menta, bingo (una specie di bacio). Il gelato italiano è decisamente migliore, non solo quello artigianale, ma anche quello industriale che si trova al supermercato.
Riprendiamo le bici e pedaliamo i pochi chilometri che ci separano dal campeggio che obiettivamente non è un granché, ma disponiamo di una grande stanza che praticamente utilizziamo solo noi e di una vasca di acqua calda su una terrazza con la vista verso l’infinito.
Ci sentiamo dei signori. Dopo una cena a base di cous cous con verdure e tonno e del purè, andiamo a letto. Domani sarà la giornata dei geyser.