Siamo a Fushë-Krujë una cittadina a pochi chilometri dall’aeroporto internazionale di Tirana, intitolato a Madre Teresa di Calcutta, figlia dell’Albania, che, a dire la verità, è nata a Skopje al tempo parte dell’impero Ottomano, oggi capitale della Macedonia del Nord.
Alloggiamo in un hotel che, probabilmente, si troverebbe più a proprio agio tra i prati delle Alpi svizzere piuttosto che ai bordi di una statale nei pressi della capitale dell’Albania.
Dopo una notte di pioggia ci svegliamo intorno alle sette. In cielo minacciosi nuvoloni neri. Fortunatamente in questo momento non sta piovendo e le previsioni ci rassicurano, almeno fino alle 14.
Mentre facciamo colazione, scambiamo due parole su bici e viaggi con Massimiliano, un ragazzo del Mugello in vacanza assieme alla sua fidanzata.
Usciamo da Scutari percorrendo una trafficatissima strada statale. Sulla nostra sinistra, su una rupe, l’imponente castello che sovrasta la città. È il castello di Rozafa, costruito dagli Illiri e ricostruito nel corso degli anni prima dai Veneziani e poi dagli Ottomani.
Come tutti i castelli medievali che si rispettano anche Rozafa ha una leggenda che lo accompagna. Il castello deve il suo nome a Rozafa, una fanciulla del luogo che, secondo la leggenda, venne murata viva nei bastioni di pietra come offerta al demonio, affinché non distruggesse le mura.
La leggenda narra la storia di tre fratelli che passavano giornate intere a edificare il castello, ma, nonostante i loro sforzi, tutte le notti le mura crollavano.
Un giorno, incontrarono un vecchio il quale confidò loro che l’unica soluzione per mantenere in piedi la costruzione sarebbe stato con un sacrificio.
Il sacrificio consisteva nel murare viva la moglie di uno dei tre fratelli e, in particolare, la prima di colui che il giorno seguente si sarebbe recata nel luogo dove stavano costruendo il castello per portare il pranzo al marito.
Il vecchio chiese ai tre di non accennare a nessuna delle loro consorti del sacrificio, perché solo così esso si sarebbe avverato.
I due fratelli maggiori non appena arrivarono a casa si precipitarono dalle loro mogli per raccontare loro ciò che sarebbe accaduto se si fossero presentate l’indomani. Il più piccolo, invece, non disse niente.
Così, il giorno dopo, quando Rozafa, la moglie di quest’ultimo, si presentò, il marito le raccontò ciò che sarebbe accaduto. La ragazza accettò il suo destino, ma chiese che fossero lasciati dei fori nelle pietre per il braccio e il seno destro, per poter continuare a coccolare ed allattare il loro bambino appena nato. Il castello non crollò più.
Percorriamo appena cinque chilometri e le previsioni vengono smentite puntualmente. Un diluvio universale si abbatte su Scutari. Auto e camion ci sfrecciano accanto come se noi non esistessimo, gettandoci addosso secchiate d’acqua.
Pedalare così è pericoloso. Alla prima stazione di servizio ci fermiamo in attesa che l’intensità della pioggia cali, mentre la strada è diventata un fiume. Oggi dovremmo pedalare per oltre ottanta chilometri, ma così sarà difficile.
Passa un’ora e piove ancora fortissimo. Micky e il Miche sono quelli che soffrono la situazione più di tutti, ritenendo che non abbia senso pedalare in queste condizioni. Sentiamo il gestore della stazione di servizio se può trovarci un passaggio per Fushë-Krujë.
L’uomo fa diverse telefonate e si mette in attesa di una risposta invitandoci ad entrare. Lo seguiamo per cortesia, anche se in Albania sembra consentito fumare nei locali pubblici; all’interno del locale c’è un fumo denso degno di una bisca clandestina.
Vado al bancone a prendere un caffè e tre bicchieri di latte caldo, ma quando arrivo a pagare erano già stati pagati da un ragazzo, che andandosene ci ha lasciato la consumazione pagata. Gentilissimo. Inoltre il gestore offre delle brioche ai bimbi. Sono tutti molto gentili e ci sentiamo trattati come ospiti di riguardo.
Tutte le telefonate fatte per trovarci un passaggio danno esito negativo. Non ci resta che prendere le biciclette e ripartire, tanto la pioggia è calata sensibilmente.
Potremmo deviare e prendere delle strade secondarie per non rimanere sulla statale, ma non incontreremmo paesi o luoghi dove ripararci nel caso di nubifragio. Percorriamo altri venti chilometri tutti d’un fiato e inizia, di nuovo a piovere fortissimo.
Alla prima area di servizio ci fermiamo di nuovo. Micky e il Miche sono infreddoliti.
Il gestore, un tipo buffo, basso cicciottello, con i capelli biondi corti e due occhietti azzurri simpatici e rassicuranti ci invita a sederci.
Chiediamo anche a lui se è possibile trovare un passaggio fino a Fushë-Krujë. Vede Micky e il Miche e ci dice che farà il possibile. Basta una telefonata ad un amico per risolvere la situazione. Un’ora e mezza di attesa e avremo il passaggio. Acconsentiamo sia all’attesa sia al prezzo richiesto.
A dire la verità Niccolò ed io avremmo continuato volentieri in bici, ma si decide sempre tutti insieme e tenendo conto delle necessità di ognuno.
Di fianco all’area di servizio il gestore sta preparando della carne alla griglia. Strana come cosa, ma, essendo l’ora di pranzo, chiediamo se possiamo mangiare nell’attesa del nostro passaggio.
Ci sediamo per gustare della carne alla brace, che dal profumo sembra ottima. Ci viene servita insieme ad una specie di focaccia di mais con della feta sopra e della insalata greca fatta con i pomodori ed i cetrioli coltivati nell’aiuola che separa l’area di servizio dalla statale. Non può essere definito un prodotto bio, ma sicuramente è a chilometro zero. Un pranzo ottimo e abbondante concluso con le mele dell’albero che cresce dietro all’edificio.
Puntuale, appena finito il pranzo arriva il nostro passaggio. Un camion da muratore con il cassone vecchio di almeno quarant’anni. Scende un signore sulla sessantacinquina; indossa ancora gli abiti da lavoro. Un uomo robusto con capelli bianchi, un bel viso in carne e la pelle abbronzata di chi lavora all’aria aperta.
Ci aiuta a mettere le bici e le borse nel cassone, poi si siede al posto di guida mente noi ci prendiamo posizione. Micky e Niccolò dietro, io e il Miche davanti con lui. L’interno, se possibile, è peggiore dell’esterno. I sedili ridotti quasi a molle con delle isole di gommapiuma, il pavimento mangiato dalla ruggine tanto che in alcuni punti si riesce a vedere l’asfalto, inoltre il suo sedile è fissato su di una cassa di legno.
Partiamo per percorrere i 65 chilometri che ci separano da Fushë-Krujë.
Durante il viaggio il signore cerca di stabilire una conversazione con me. Il problema è che lui parla esclusivamente albanese.
Per tutta la durata del viaggio, il massimo che riusciamo a combinare, è indicare le cose e ognuno dice come si chiamano nella propria lingua.
Arriviamo dopo oltre due ore a causa di una lunga coda in superstrada superata grazie al fatto che mi sono improvvisato navigatore con l’aiuto di Waze.
Ringraziamo paghiamo quanto pattuito e raggiungiamo l’hotel.
Ha smesso di piovere e ora splende un bel sole. Micky e Niccolò riprendono le bici per andare a fare la spesa ad un supermercato, mentre io mi gusto una bella birra al sole mentre guardo il Miche che se la spassa nella bella piscina.
Insieme a Niccolò e Micky arriva una cicloviaggiatrice solitaria che trascorrerà l’ultima notte del proprio viaggio presso il campeggio attiguo all’hotel. È lussemburghese e ha iniziato il suo viaggio in Svizzera percorrendo tutti i Balcani interni. Un percorso duro e montuoso. Davvero bravissima.
Cena in camera e a letto. Domani, sarà una giornata intensa. Andremo prima Tirana dove visiteremo le cose più importanti per poi prendere un pullman fino a Ocrida, in Macedonia del Nord.