Siamo profondamente d’accordo con il premio nobel e poeta Thomas Stearns Eliot che affermava “Quello che conta è il percorso di un viaggio e non l’arrivo”, ma l’arrivo a Istanbul, una metropoli divisa tra due continenti, con più di due millenni di storia alle spalle ha un sapore particolare. Sicuramente il luogo più significativo nel quale poteva terminare il nostro viaggio.
Siamo rimasti sulla riva europea del Bosforo di Istanbul, dove i coloni greci fondarono Bisanzio lungo un golfo riparato dal promontorio del Corno d’Oro.
Giorno 1
Ci svegliamo all’hotel Constantine, in pieno centro. Abbiamo riposato bene, forse per la stanchezza o per la silenziosità della camera; non poteva essere diversamente dato che la nostra finestra al piano terra dell’edificio si affaccia su un cimitero.
Il programma della giornata è fittissimo. La prima tappa è il palazzo Topkapi, uno dei palazzi più grandi del mondo che ha accompagnato la storia dell’Impero Ottomano per 450 anni. Arriviamo presto davanti alle casse e fortunatamente la fila per il biglietto è contenuta. L’ingresso al palazzo costa 750 lire turche che salgono a 950 (circa 33 euro) se vogliamo visitare anche l’harem del palazzo; il biglietto comprende anche un audio guida. I visitatori di nazionalità turca pagano un sesto del biglietto.
Vistando il palazzo si riesce a percepire chiaramente il potere che esercitavano e lo sfarzo in cui vivevano gli oltre trenta sultani che lo hanno abitato. Prima visitiamo l’harem che in pratica era l’appartamento provato dell’imperatore e dei suoi stretti familiari, privato si fa per dire perché solo l’harem ospitava più di mille donne, bambini ed eunuchi neri, generalmente etiopi, che lavoravano come guardie. Cupole, porte, marmi, fontane, giardini, piscine, e ancora mosaici, preziose piastrelle, ori. Tutto è talmente prezioso e bello che non sappiamo dove guardare. Ci affidiamo all’audio guida che ci racconta la storia e le bizzarrie dei sultani, come quella di divertirsi a guardare dei nani a bordo di barchette che remavano in una delle piscine.
Ora è la volta delle stanze degli abiti. È interessante vedere come vestivano i sultani e come le mode sono cambiate, anche per loro, nel corso dei secoli: quelli del 400 e del 500 erano enormi e con maniche lunghissime. Visitiamo le immense cucine, nelle quali si preparava il cibo per banchetti anche di quindicimila persone. La stanza del tesoro dove sono in mostra enormi diamanti, gioielli, ori, spade e troni.
Infine il museo delle reliquie, forse la cosa che ci ha sbalordito di più. E qui tra centinaia di reliquie possiamo trovarne alcune di incredibili. In una teca, secondo un documento di identificazione trovato presso la Basilica di Santa Sofia, è conservato bastone di Mosè. Proprio il bastone utilizzato per produrre acqua da una roccia, quello con il quale divise le acque del Mar Rosso. Una targhetta sotto il bastone riporta “Bastone del profeta Mosè – 13° secolo a.C.” Inoltre, il mantello del profeta Maometto, una pentola di Abramo, la spada di David, la veste di Giuseppe, le spade dei compagni del profeta Maometto, una avambraccio di San Giovanni Battista.
Passiamo tutta la mattina dentro al palazzo Topkapi.
Siamo esausti. Fortunatamente l’hotel è a due passi. Un riposino di mezz’ora prima di dedicarci alle due moschee più importanti della città e al palazzo sommerso.
Entriamo subito nella bella moschea di Santa Sofia, uno dei simboli di Istanbul. Patrimonio mondiale dall’UNESCO, Santa Sofia ha attraversato secoli e imperi rimanendo sempre un simbolo centrale della città. Consacrata nel 360 d.C. come una chiesa, trasformata in moschea nel 1453 sotto gli ottomani, poi in un museo nel 1935 sotto la Repubblica di Turchia e dal 2020 di nuovo moschea.
Ci togliamo le scarpe ed entriamo nella moschea, camminando scalzi nei migliaia di metri quadri di tappeti. È affollatissima e, onestamente, l’odore di piedi sudati ci impregna subito le narici.
Il soffitto altissimo, l’enorme cupola e i lampadari, sono impressionanti. Le numerose colonne sono in materiali e colori diversi, in quanto tutte le regioni del grande Impero Bizantino (che poi sarebbe l’Impero Romano d’Oriente), contribuirono alla sua costruzione: il marmo verde proveniva dall’Egitto, la pietra gialla dalla Siria e la pietra nera dalla regione del Bosforo.
Gli affreschi e i mosaici raffiguranti le icone cristiane sono coperti da teli, mentre grandi scudi che riportano i nomi di profeti e califfi. Una meraviglia per la quale ci sentiamo minuscoli.
È la volta ora della Moschea Blu, proprio di fronte a Santa Sofia. Il nome di moschea blu deriva dallo presenza di oltre 21.000 piastrelle di ceramica turchese che compongono le pareti e la cupola dell’edificio. Ci togliamo le scarpe ed entriamo. Solito odore importante. È più luminosa rispetto a Santa Sofia. La luce riflessa dal bianco e dall’azzurro delle piastrelle dona un senso di pace e rilassatezza. Gli enormi lampadari sono bellissimi. Come nell’altra moschea turisti e fedeli si mescolano senza che nessuno dei due dia fastidio all’altro
La Moschea Blu è l’unica moschea a possedere sei minareti, superata in questo solo dalla moschea della Mecca, che ne ha sette.
Questo, secondo una sorta di leggenda, è dovuto ad un fraintendimento: il sultano Ahmed I, non potendo eguagliare la magnificenza della moschea di Santa Sophia, non trovò soluzione migliore per cercare di distinguerla dalle altre, che quella di ordinare la realizzazione dei minareti in oro; l’architetto fraintese però le parole del sultano, capendo “altı” (in turco “sei”) anziché “altın” (oro). Questo fatto scatenò una certa polemica, poiché era lo stesso numero di torri della Mecca. Pertanto, dato che nessuna moschea può avere più minareti di quella della Mecca, per placare gli animi dei fedeli, a quest’ultima venne aggiunto un settimo minareto.
Per completare la giornata ci manca solo il Palazzo Sommerso. Fortunatamente la fila da fare non è eccessiva rispetto a quella che abbiamo visto nel primo pomeriggio. Paghiamo il biglietto e scendiamo lungo le scale. Ci troviamo davanti ad un ambiente quasi magico. Una cisterna d’acqua di enormi dimensioni sorretta da 336 colonne alte 9 metri ciascuna in diversi stili in quanto provenienti da altre strutture e riutilizzate: sembra di entrare in una cattedrale sotterranea. Camminiamo su delle passerelle sopra l’acqua; dei fari che cambiano colore contribuiscono a creare un’atmosfera particolare.
Siamo stanchissimi. Non ci resta che trovare un posto per cenare ed andare a letto. Un ristorante vicino all’hotel ci sembra l’ideale. Mangiamo piatti tradizionali, in realtà già provati nei giorni precedenti a prezzi decisamente più contenuti.
Giorno 2
Oggi è il giorno dei mercati. La prima tappa della giornata è il Grand Bazar, il mercato coperto più grande del mondo con oltre 3.600 negozi, distribuiti in 64 vie al quale si accedere da 22 porte. Entriamo e tutto ci riporta ai suq di Fez e Marrakech che abbiamo visto lo scorso inverno.
Costruito nel 1455 e cresciuto negli anni fino alla dimensione attuale, il Grand Bazar ci sorprende con le migliaia di bancarelle colorate che espongono ogni sorta di oggetto: dalle lampade ai tappeti dai narghilè ai gioielli, dalle teiere ai vestiti di marca rigorosamente contraffatti. I commercianti sono insistenti, esattamente come in Marocco e trattare il prezzo è un obbligo. Io non sono particolarmente capace, ma Micky è una vera fuoriclasse. Ci aggiriamo per questi porticati decorati attirati da ogni oggetto in esposizione e puntualmente richiamato dal venditore pronto a fare l’affare.
Io mi concedo, curioso, un caffè turco. Terribile come il caffè greco dal quale non riesco a trovare significative differenze.
È ora la volta del Il Bazar delle Spezie. Un posto vivace dove colori e odori si mescolano. Ormai la maggior parte dei negozi vende i dolci e thè speziati. Il dolce principe non può che essere il lokum, o inglese “Turkish Delight”, come scritto in insegne e cartelli di ogni pasticceria. Sono dei cubotti di gelatina, originariamente aromatizzati all’acqua di rose, ma ora si trovano a qualsiasi gusto, e ripieni di mandorle o pistacchi. Buonissimi. Si dice che Picasso li consumasse per concentrarsi meglio e che Napoleone avesse una vera dipendenza da questi dolcetti.
Qui al Bazar delle Spezie ci dovrebbero essere i lokum più buoni di tutta Istanbul. Ci fermiamo ad una bancarella e ne facciamo scorta.
Poi completiamo il giro tra polveri colorate e dolci.
Pomeriggio a Galata, il vecchio quartiere genovese della città. Prendiamo una piccola funivia interrata, seconda più vecchia metropolitana al mondo dopo quella di Londra, per evitare la salita tra le stette strade scoscese. Arriviamo nella via dello shopping. Sulla nostra destra l’enorme cancello in ferro con decorazioni dorate della Galatasaray High School, fondata nel 1481 dal sultano Beyazit II come “Scuola Enderun” (Scuola Imperiale) e fu chiamata “Galata Sarayı” (“Palazzo Galata”). Cinque studenti del liceo Galatasaray fondarono l’omonima squadra di calcio, la più famosa della Turchia.
Per non farci mancare niente prendiamo il “tram nostalgico”, e su una vecchia vettura restaurata, di colore bianco e rosso brillante, con gli interni in legno percorriamo tutta Istiklal Caddesi, la via principale di Galata. Prima di lasciare il quartiere una visita alla Torre Galata, una bella torre cilindrica in pietra costruita del nel 1348 dai Genovesi, e successivamente all’hotel Pera Palas, uno storico hotel dove, nella stanza 411 Agatha Christie scrisse Assassinio sull’Orient Express.
Durante la passeggiata entriamo in una bella moschea. Un volontario, Recep, ci chiede se ci può raccontare qualcosa sull’Islam. Ovviamente acconsentiamo. Recep si siede davanti a noi sul tappeto e ci spiega i pilastri sui quali si basa l’Islam, la storia dell’Islam e le differenza con le altre religioni monoteistiche. Quasi un’ora e mezzo di lezione. Siamo distrutti, ma soddisfatti. Ci lascia andare.
È ormai pomeriggio inoltrato. Arriviamo in una piazza con una immensa colonna, alta 35 metri. È la colonna di Costantino, eretta nel 330 quando Istanbul fu consacrata capitale dell’Impero Romano in quello che era chiamato Foro di Costantino ed era sormontato da una statua di Costantino vestito da dio del sole. In seguito a incendi e terremoti è stata più volte restaurata e ora è circondata da cerchi in ferro che le permettono di stare in piedi.
Intanto sotto la forte spinta di Micky e Niccolò, tra mie enormi titubanze e la neutralità di Michelangelo varchiamo la soglia dello storico hammam di Çemberlitaş, il più famoso di Istanbul, situato nell’omonimo quartiere e costruito nel 1584. Dopo un ingresso in comune ci separiamo. Micky va nell’area riservata alle donne, Niccolò, Michelangelo ed io andiamo in quella riservata agli uomini. Tra bagno turco, scrub e massaggio trascorriamo un’ora e mezza e dopo l’esperienza in Marocco, quella in Turchia posso affermare con certezza che l’hammam non fa per me.
Non ci resta che cenare. Un localaccio che serve solo zuppa di ceci e riso pilaf con pollo accompagnato da ayran, una bevanda tipica a base di yogurt, acqua e sale. È acidissima e salata, ma fresca e dissetante.
Ora non ci resta che andare a letto. Domani ci sposteremo sulle coste del Mar Nero.
Giorno 3
È l’ultimo giorno prima della partenza. Ci siamo lasciati lo spazio per prendere un traghetto e navigare lungo il Bosforo, una esperienza che volevamo fare da tempo; poi dovremo pedalare per quattordici chilometri belli movimentati prima di arrivare sul Mar Nero. Chiamato dagli antichi greci Pontus Axeinus che letteralmente significa “mare inospitale” deve il suo nome attuale alla lingua turca e dalla contrapposizione di questo mare con quello Mediterraneo. In turco, infatti, il Mar Nero si chiama “Kara Deniz”, mare nero, contrapposto al Mar Mediterraneo “Ak Deniz”, mare bianco, poiché la tradizione turca trova, nei colori ‘nero’ e ‘bianco’, la definizione di ‘settentrionale’ e ‘meridionale’.
Ci svegliamo con calma e, dopo un bella colazione andiamo al porto. La scheda per i biglietti del traghetto è già caricata. Quando arriviamo di fronte alle banchine notiamo che l’accesso è chiuso, sbarrato con transenne. Cechiamo di capire il perché. Noi dobbiamo prendere il traghetto delle 11:30.
Chiedendo in giro capiamo che non è chiuso solo l’accesso ai traghetti, ma un intero tratto del canale del Bosforo a causa della 34a edizione della Bosphorus Cross-Continental Swimming Race una gara di nuoto che inizia nel asiatico di Istanbul e termina sul lato europeo, coprendo una distanza di 6,5 km.
Potremmo prendere una metro, ma non sarebbe la stessa cosa, pertanto decidiamo di pedalare. I chilometri salgono a quaranta, con dei dislivelli veramente impegnativi.
Sarà il caldo, sarà che alcune salite, seppur di poche decine di metri, arrivano al 25% di pendenza, ma è davvero dura. Io e Niccolò saliamo in bici e poi scendiamo per aiutare Micky e Michelangelo a spingere la bici fino alla cima della strada.
La strada ora diventa sterrata e polverosa. Siamo nel mezzo di un bosco. Si tratta della Belgrad Forest, ora parco. Prende il nome da un vicino villaggio, abitato da migliaia di serbi deportati a Costantinopoli nel 1521 in seguito alla caduta di Belgrado per mano agli Ottomani.
D’ora in poi è tutta discesa fino al Mar Nero.
Arriviamo in hotel. Il tempo di lasciare i bagagli e, dopo aver risolto un problema per il transfer di domani all’aeroporto, andiamo in spiaggia. L’acqua non è bellissima, ma non possiamo resistere ad un tuffo nel Mar Nero.
Per concludere la serata ci regaliamo una cena in un localino che serve solo uova, in tutti i modi e poi un passaggio in gelateria per l’ultimo dondurma.
Il viaggio è stato faticoso, come sempre, ma fantastico. Abbiamo imparato tante cose. Abbiamo attraversato la penisola balcanica, assaporato la cultura macedone e ellenistica, ammirato le magnificenze di Istanbul.
Ora torniamo a casa pronti per studiare il percorso del prossimo viaggio. Namastè.