Siamo in un campeggio a Húsafell una minuscola località nella quale fatichiamo a vedere altre costruzioni oltre al campeggio/ristorante/resort/mini market/campo da golf/benzinaio nel quale abbiamo montato la tenda. Fortunatamente non sta piovendo e dentro la tenda è meno umido del solito.
Ci svegliamo intorno alle 8 al campeggio Rock’n Troll, probabilmente uno dei campeggi con il nome più brutto d’Europa. Ovviamente sta piovendo. I camper della comitiva di pisani confusionari, incontrati la sera prima, sono partiti intorno alle sette facendo un gran baccano: tra urla, risate sguaiate e sgasate delle loro case su ruote.
Prepariamo colazione e iniziamo a chiudere i bagagli, tanto non sembra voler smettere di piovere.
Ci mettiamo in sella. Il percorso è collinare, quindi ci riscaldiamo durante le salite e ci raffreddiamo nelle discese. Intorno a noi bianche colonne vapore acqueo che si alzano verso il cielo caratterizzano il paesaggio. Enormi tubature corrono parallele alla strada e, qua e là, sorgono serre che utilizzano il calore della terra per coltivazioni che non resisterebbero al clima duro di queste parti.
È quasi ora di pranzo. Deviamo dalla strada principale per raggiungere Deildartunguhver, la più grande sorgente geotermale d’Europa. Fornisce 180 litri al secondo di acqua a 100°.
Tra pioggia e vapore acqueo sembra di essere in pianura padana in una giornata particolarmente nebbiosa.
Arrivati alla sorgente scendiamo dalle bici infreddoliti. Un casottino in legno attiguo ad una serra offre pomodori e carote biologiche già confezionati in comodi sacchetti da pagare presso il vicino chiosco. 500 isk per i pomodori, 600 isk per le carote, rispettivamente 3,50 e 4,30 euro; ne prendiamo un sacchetto di ciascuno.
La serra offre un caldo riparo dalla pioggia e dei tavolini dove consumare il pranzo. Un’ottima opportunità di scaldarci un po’ e pranzare al coperto. Pane e formaggio, pomodori e carote, più due hot dog comprati assieme alla verdura: uno per Niccolò e uno Michelangelo.
Ci rilassiamo un’oretta abbondante prima di andare a vedere Deildartunguhver. Un ribollire di acqua che proviene dalle viscere della terra è delimitato da un parapetto in metallo. Mentre ammiriamo una dimostrazione di quanto può essere forte madre natura ci riscaldiamo con il vapore, attenti a non bruciarci.
È ora di ripartire. Ci rimettiamo in sella e, nel giro di poco, smette di piovere. Percorriamo circa dieci chilometri prima di fermarci a Hraunfossar, letteralmente “cascate di lava”, uno spettacolare susseguirsi di cascate create da piccoli ruscelli che escono dalle sorgenti, e si gettano in un fiume azzurrissimo. Niccolò si diverte a far riprese aeree con il drone e lo scenario naturale lo aiuta.
Poco più avanti Barnafoss, le “cascate dei bambini” il cui nome è dovuto ad una saga islandese. Racconta di due bambini che scomparvero nei pressi di un un ponte di pietra naturale nei pressi delle cascate. La madre, sconvolta dal dolore, fece distruggere il ponte in modo che nessuno potesse mai più avere la sorte dei propri figli.
Prima di riprendere il viaggio facciamo un po’ di conversazione con un gruppo di israeliani curiosi che ci invitano a pedalare nel loro paese.
Michelangelo inizia ad essere stanco. Un ultimo sforzo per arrivare al campeggio. La reception è chiusa. Scegliamo la piazzola che più ci piace e montiamo la tenda, poi domattina regolarizzeremo la nostra presenza.
Una cucina in comune ci facilita la preparazione della cena e la conversazione con una famiglia francese la allieta. Un’ottima ed abbondante pasta in brodo con ceci ci riscalda e ci sazia.
Non ci resta che andare a dormire. Domani ci attende la traversata del deserto grigio.