Abbiamo pedalato lungo l’oceano Atlantico da tre diversi continenti. Dall’Europa percorrendo le coste del Portogallo e della Spagna. Dall’America, scendendo lungo le east coast. Ora lo vediamo dall’Africa, da Rabat, la capitale del Marocco, e città nella quale risiede il Re. Una città moderna e inaspettata. Diversa dalle altre.
Ci svegliamo a Khemisset. La notte è passata tranquilla. Ci prepariamo una classica colazione italiana. Cappuccino, fette biscottate con la nutella, latte e cereali.
A dire la verità Micky e Niccolò invece del latte ieri sera hanno comprato due litri di Rayb un latticino tradizionale di queste parti, un’incrocio tra un latte acido e uno yogurt. Scendo in strada a prendere il latte. Ora possiamo fare il cappuccino, dato che abbiamo sia la moka elettrica sia il cappuccinatore per montare il latte.
Ci prepariamo e usciamo lasciando il nostro appartamento curato e moderno all’interno di un edificio piuttosto fatiscente.
Il centro città lascia il posto alla periferia e poi alla campagna. Percorriamo una lunga statale dissestata. Qualche camion passa un po’ troppo vicino facendoci avvertire prima la spinta d’aria e poi il riscucchio.
Tiriamo fino alla prima cittadina lungo il nostro percorso: Tiflet.
Si presenta decisamente più povera di Khemissen tra case mezze diroccate e case non terminate.
È ora di pranzo. Ci fermiamo al mercato. Enorme. A chi venderanno mai tutta questo cibo riamane un mistero. E poi, quanto mangiano? È una cosa che non si capisce. Per altro la maggioranza della popolazione è piuttosto magra.
Un po’ frutta secca e dei mandarini per Micky e me, tajine di manzo, venduto come pollo, con tanta cipolla, per Niccolò e Michelangelo. Concludiamo con un ottimo tè alla menta per tutti.
Prima di abbandonare la città giriamo un po’ per il mercato. Ormai ne abbiamo visti diversi, e più o meno hanno le stesse cose, ma sono belli da vedere e da vivere. Uno spaccato di vita che da noi non esiste più da decenni o secoli.
La zona è famosa per il miele; vorremmo comprarlo, ma non riusciamo a trovare ciò che cerchiamo.
Riprendiamo la marcia per Rabat. Percorriamo una superstrada a due corsie per senso di marcia. Le macchine corrono veloci e, ai lati della strada, ora le pecore ore le mucche ora gli asini e i cavalli.
Capita che il naso venga pervaso da un odore nauseabondo di morte; ci giriamo verso il fosso e ora c’è un cane, ora un gatto, perfino un cavallo morto e abbandonato con una nuvola di mosche a banchettare. Incrociamo un immenso bosco di querce da sugherò; ci accompagnerà per chilometri.
Ai bordi della strada auto station wagon o furgoncini hanno il baule attrezzato con una macchinetta per il caffè. Tanti si fermano presso questi Autogrill ambulanti. Proviamo anche noi. Ordino il caffè. Un ragazzino accende il quadro dell’auto mentre un uomo mi fa un caffè tremendo. Chiediamo poi un latte e menta per Niccolò. Ci verrà servito un latte bollente e una tazza di caffè a parte. Va bene così. Paghiamo e riprendiamo il viaggio.
Attraversiamo un ponte e sfiliamo accanto all’aeroporto di Rabat. Siamo a 7 chilometri dalla città. È piccolo e principalmente servito da voli nazionali, ma ci colpiscono la vita dei giardini e soprattutto il numero impressionante di polizia e militari armati. Ogni pochi metri c’è una guardiola con due militari ciascuna.
Entriamo in centro città attraverso dei viali adornati da palme, tanto che sembra di essere a Miami.
Arriviamo nei pressi della Medina. Entriamo. È piccola, ma decisamente carina. I suoi vicoletti, puliti e a vocazione decisamente turistica, separano edifici bianchi. Qui negozi di tappeti, artigianato, barbe ristoranti.
Andiamo al bed and breakfast dove dormiremo. Una donna ricciuta sulla sessantina ci viene incontro. Ci da le chiavi e ci dice dove posizionare le
Bici. La casa ha quattro camere da letto. Una è per noi.
Scarichiamo i bagagli e usciamo. Facciamo un giro della Medina, uscendo poi verso l’oceano Atlantico. Davanti a noi la Muraglia degli Andalusi. Meravigliosa. Costruita interamente in argilla, aveva lo scolo di difendere la città dall’assalto dei pirati.
È ora di cena rientriamo per mangiare qualcosa. Ci sono numerosi chioschi che vendono dell’ottimo cibo da strada a due soldi.
Ci fermiamo da un signore con quattro enormi pentoloni appoggiati su della brace. Dentro rispettivamente polpo in umido, cozze in umido, sardine in umido e interiora di pesce in umido. Per 6 dirham prendiamo due khobz, il pane pane rotondo marocchino, con polpo.
Continuiamo il nostro giro nello street food di Rabat. Due panini con una carne macinata e speziata cotta sulla piastra con l’uovo, spremute di arancia e di canna da zucchero e due porzioni di Rayb con semi vari, frutta, frutta secca e miele.
Torniamo al bed and breakfast. Non mi sento affatto bene. Le gambe mi cedono e sono debole.
Arrivati a casa mi butto sul letto senza aver la forza di scrivere nulla.
Domani ci aspettano settanta chilometri. Speriamo vada meglio.