Siamo arrivati al termine di una giornata strana, pedalata quasi interamente senza vedere ad un palmo dal naso. La scarsa visibilità, a non più di dieci metri, ci ha visto pedalare sospesi tra le nuvole. Senza vedere il panorama, se non a sprazzi, né le pendenze; inoltre costantemente umidicci.
Ci svegliamo nella nostra casetta di Oualidia. Un bagliore argentato entra dalla finestra. Ci affacciamo, ma non riusciamo a vedere la strada. Siamo completamente avvolti dalla nebbia.
Facciamo colazione e ci prepariamo aspettando che il sole, riscaldando il terreno, faccia disperdere la nebbia.
Scendiamo a prendere le bici, la nebbia si è parzialmente diradata. Salutiamo il nostro locatore e partiamo. Attraversiamo Oualidia poi inizia la salita. Saliamo di circa duecento metri dove ci troviamo avvolti tra le nuvole. La temperatura è pungente, ma quello che fa fastidio è l’umidità.
Riusciamo a vedere il panorama a sprazzi, ed è bellissimo. Alla nostra destra ci sono cinquanta metri di prato e poi una ripidissima discesa fino all’oceano.
È quasi ora di pranzo. Scendiamo un po’ di quota torniamo a vedere la luce del sole. Qualche chilometro e ci imbattiamo un un villaggio con un mercato all’aperto; non il solito mercato dove il cibo è venduto in quantità industriali e dove ad ogni metro c’è un banco che vende panini o altro.
Ci sono un paio di banchi di macelleria, di cui uno vende solo zampe di mucca, un paio di bachi di pesce, altrettanti di frutta e di frutta secca. Poi si vendono vestiti, casalinghi, oggettistica. Tutto rigorosamente disposto senza un preciso ordine su dei teli stesi per terra.
Dobbiamo mangiare, ma non c’è nessuno che venda del cibo pronto.
Un ragazzo sta cuocendo del pesce e della carne alla brace. Ci avviciniamo e cerchiamo di ordinare qualcosa, anche se parla soltanto arabo. A gesti ci spiega che dobbiamo prima andare dal macellaio o dal pescivendolo, comprare della carne o del pesce e portare a lui il cibo, che cuocerà per noi.
Ci facciamo tagliare il filetto da un tronco di carne. Ovviamente qui andiamo a occhio e a multipli di un chilo. Non esiste la fettina. 80 Dirham, 8 euro di carne.
La portiamo al ragazzo che la dispone sulla brace e ce la mette dentro a delle pagnotte, comprate ad un banco del pane, il tutto con un abbondante dose di curcuma, onnipresente. 20 Dirham per la cottura.
Prima di riprendere il viaggio Micky e Niccolò comprano una teiera con quattro bicchieri: Niccolò ha la convinzione che una volta a casa, nei pomeriggi di studio, si farà un eccellente tè marocchino.
Riprendiamo il viaggio. Dopo una lunga salita siamo di nuovo tra le nuvole, e poi ancora giù a trovare un sole caldo che ci riscalda. Pedaliamo ora in aperta campagna. Un uomo trascina due asini che hanno le zampe anteriori legate tra loro. Le due povere bestie saltellano per tenere il passo del padrone; è una pena vederli. Gli asini sono trattati veramente male.
Una lunga discesa ci conduce a Safi, una cittadina famosa per l’artigianato di utensili in terracotta, decorati a mano; particolare per la ceramica bianca e blu.
Entriamo nella Medina, ci destreggiamo tra i vicoli fino a trovare il nostro Riad, Le Cheval Blanc. Ad attenderci una signora che parla un buon inglese, la prima che incontriamo. Il Riad è curato nei dettagli e nell’arredamento. Tre piani più una magnifica terrazza che da una parte di affaccia sul mare, mentre dall’altra il maestoso palazzo del sultano.
La signora del Riad ci racconta la storia di Safi, dei suoi monumenti principali e ci dice che è il settimo luogo più famoso del mondo per il surf (su quest’ultima affermazione non possiamo che fare un atto di fede).
Usciamo per un giro tra i souq, in maggioranza di artigianato e abbigliamento. Qui troviamo i famosi piatti di ceramica blu e bianchi ricchi di decorazioni che abbiamo visto in giro per tutto il Marocco.
Una visita all’oceano e poi a cena fuori. Questa volta un ristorante elegante, secondo i parametri locali, affacciato sul mare.
Cena a base di pesce e a letto. Domani sarà una tappa particolarmente difficile.