Siamo in un Riad nella Medina di Meknes, la più piccola e la più giovane delle quattro città imperiali del Marocco. Dormiamo al secondo piano in una stanza grande, stretta e lunga. Mattonelle arabeggianti sulle pareti, un divano, un letto matrimoniale e due singoli. Arredamento minimale, ma in stile. Un unico difetto, che la accomuna a tutti gli ambienti del riad è quello di essere buia. Non siamo abituati a vivere in ambienti con così poca luce.
Ci svegliamo nella campagna tra Fès e Meknes. È piuttosto freddino. Tra la mattina e l’ora di pranzo c’è un’escursione termica di circa quindici gradi.
La colazione ci viene servita nel giardino. Omelette, miele, un formaggio fresco simile alla ricotta, vari tipi di pane, spremuta di arance e caffellatte, che onestamente non ricordo l’ultima volta in cui ho bevuto il caffellatte.
Mangiamo in fretta per sfuggire al freddo e prepariamo i bagagli. Riusciamo a partire non prima delle 10:30.
Saliamo in sella e ci immettiamo in una lunga strada dissestata con campi di ulivo su entrambi i lati. Gruppi di uomini e donne che stanno raccogliendo le olive si ferma per salutarci. A parte gli ulivi la vegetazione è scarsa; una distesa di terra color ocra con poche zone erbose.
Attraversiamo un paese. In giro tanti bambini, tante scuole. Qualcuno corre accanto a noi, qualcuno ci saluta qualcuno ci sorride. Qualche bar occidentale, residuo del colonialismo francese (frequentato rigorosamente da soli uomini), negozi forniti di tutto, e tante officine, che con un parco mezzi così datato, non conoscono crisi e i cui standard di sicurezza non corrispondono esattamente ai nostri. Si vedono auto a bordo strada sollevate su mattoni o pezzi di legno con il meccanico di turno sdraiato sotto a lavorare.
Ora è di nuovo campagna. Greggi di pecore e capre, asini troppo carichi di erba fresca che avanzano con passo incerto. Ad un certo punto un campo enorme con migliaia di colonnine elettriche in cemento, tanto che a prima vista sembrano le lapidi di un cimitero. Per quanto ci sforziamo per capirne l’utilizzo non riusciamo davvero a capire.
Ormai è ora di pranzo e vorremmo trovare qualcosa per mangiare. Entriamo in un paese dove c’è un grande mercato all’aperto. Le condizioni igieniche sono quel che sono, ma qui dovremo accontentarci. Le macellerie hanno grandi tronchi di carne appesi, teste di manzo intere che gocciolano sangue sull’asfalto; con una nuvola di mosche intorno.
Noi ci fermiamo ad un paninaro. Solito panino con tutto il mondo dentro per i bimbi, omelette per Micky e sardine fritte per me.
Ripartiamo per l’ultimo tratto che ci separa da Meknes. La campagna pian piano lascia il posto ad una periferia curata e più moderna di quanto ci saremmo aspettati: hotel, banche, centri commerciali, grandi centri sportivi, parchi e strade pulite e ordinate. Nessun dentista, anche se a giudicare dai sorrisi sdentati ce ne sarebbe un gran bisogno.
In lontananza appare la Medina. Un ammasso di case intervallate solo dalle torri delle moschee. Entriamo da un Bab, una della porte che conduce all’interno della Medina.
Degli adolescenti, tutti in camice bianco, stanno uscendo dalla scuola di scienze applicate e tecnologia. Pedaliamo lungo le strette strade della Medina per circa quattrocento metri, prima di giungere al nostro Riad.
Ci apre un ragazzo gentile che ci aiuta a portare le biciclette fin sulla terrazza al primo piano. La nostra camera è invece al secondo.
Ci cambiamo ed usciamo. Ci aggiriamo per i vicoli visitando i vari souq. Questa Medina è decisamente più piccola di quella di Fès, ma ci sono meno turisti. Il souq dell’abbigliamento è la fiera del falso. Qui si può trovare copie di qualsiasi marca.
Sicuramente il souq più affascinante è quello che vende tutto ciò che è commestibile, forse. Arriviamo nella piazza principale della Medina, El-Hdim. Sembra di essere in un circo all’aperto. La piazza affollatissima di persone è popolata da musicisti locali, cantastorie, guaritori tradizionali e incantatori di serpenti.
Un uomo ha un grosso serpente nero in mano, un altro ha una scimmietta, c’è chi canta. Purtroppo non ci sono i mangiatori di fuoco, una delle attrazioni della piazza.
Diversamente da altre città a vocazione più turistica, gli artisti qui si esibiscono per i locali, non per i turisti.
Sta calando la sera, è ora di tornare al nostro Riad. Cena a base di pastilla di pollo, una torta ripiena di pollo, cipolle e oltre 30 tipi di spezie; il tutto avvolto dalla pasta warka con una spolverata di cannella e zucchero a velo che dona un piacevole contrasto. Per concludere una insalata ricca di verdure. Non ci rimane che andare a letto. Domani ci aspetta una giornata impegnativa.