Siamo a Saijo in un hotel nel centro della città, dopo una giornata non particolarmente impegnativa che ci ha visto pedalare per poco meno di 40 chilometri. Saijo è una piccola cittadina che fa parte della prefettura di Eihme compresa tra il mare interno di Seto ed il monte Ishizuchi, il più alto della regione. Finalmente, dopo aver tagliato l’isola di Shikoku, inoltrandoci nell’interno, ci riaffacciamo sul mare.
La giornata inizia con la solita sveglia alle 7. Dato il disagio della casa di campagna in cui alloggiamo, senza alcun comfort e con servizi igienici decisamente carenti, facciamo una veloce colazione e ci mettiamo in sella, rimandando le pratiche di igiene personale al primo supermercato aperto lungo la strada. Oltre ai pochi, grandi supermercati, si incontrano numerosi minimarket che hanno praticamente tutto. Appartengono a tre famose catene internazionali: FamilyMart, 7 eleven e Lawson. Sono aperti 24h/24 ed hanno dei bagni pulitissimi.
La strada che dobbiamo percorrere prima di incontrare Lawson, il primo minimarket sul nostro percorso, è più lunga del previsto; questo perché stiamo percorrendo una stretta strada di montagna con il precipizio da una parte e la montagna dall’atra e non c’è spazio per alcun edificio. Il marciapiede non c’è; percorriamo i 12 chilometri che ci separano da Lawson, procedendo in una ordinatissima fila indiana con camion che ci sfrecciano accanto e gallerie. Fortunatamente dopo tre chilometri di dura salita ne seguono ben nove di discesa. Il paesaggio è bellissimo; montagne ricoperte di boschi, gole e fiumi che si fanno spazio scavando tra le rocce. Questo scorcio di Giappone ricorda molto l’Italia.
Finalmente arriviamo da Lawson, Ci laviamo i denti e ripartiamo alla volta del primo tempio da visitare: il sessantesimo o tempio Yokomineji. Il tempio è dedicato ai bambini e alle mamme. Arrivano donne in gravidanza per recitare una preghiera affinché vada tutto bene durante il parto, famiglie con bambini per chiedere che i figli crescano in salute e pellegrini che stanno facendo, come noi, lo Shikoku Henro. Noi, dopo aver completato il rito e raccolto i timbri, compriamo un omamori per proteggere Dudu e il Miche e farli crescere in salute
–Pillola giapponese del giorno. Gli Omamori–
Un omamori è un amuleto che dona protezione o comunque è di buon auspicio a chi lo indossa. Gli omamori sono utilizzati sia nel culto shintoista sia in quello buddhista. Nel primo il potere dell’omamori deriva dal kami venerato, mentre nel secondo, l’omamori prende il suo potere dal Gohonzon, ossia l’immagine sacra di Buddha.
La foderina dell’amuleto è fatta di stoffa e racchiude al suo interno una preghiera scritta su un foglio di carta o un pezzo di legno; tale preghiera, secondo la credenza giapponese, contribuisce a proteggere chi la possiede e a raggiungere i propri desideri. Su un lato dell’omamori è specificata la sfera di fortuna o di protezione a cui è destinato e, sull’altro lato, il nome del santuario o del tempio in cui è stato realizzato. Esistono omamori generici, ma la maggior parte ha un funzione specifica: salute, amore, studio, successo, scacciare gli spiriti maligni, etc..
L’omamori non deve mai essere aperto, pena la perdita della sua capacità di protezione. La sua validità è di un anno, dopo di che dovrebbe essere riconsegnato a chi ce lo ha venduto, oppure presso un tempio o un santuario. Uno degli addetti procederà alla sua distruzione, solitamente bruciandolo. Gettare nella spazzatura un Omamori è considerato un atto di mancanza di rispetto di una certa gravità.
–Fine pillola giapponese del giorno–
Possiamo ora riprendere il nostro percorso verso il sessantunesimo tempio, Kōonji. Questo, come il successivo, Hōjuji, è un espio piccolo. Completiamo rito,timbriamo il quaderno e ce ne andiamo. Siamo nettamente in anticipo sulla tabella di marcia.
Pranziamo e pedaliamo fino all’ultimo tempio della giornata, Kichijōji, il sessantatreesimo. Un un tempio grande completamente immerso nella natura, realizzato all’interno di un bosco con una piccola cascata che alimenta un ruscello. Una lunga scalinata conduce all’ edificio centrale, costruito in legno. L’intero complesso e l’ambiente trasmettono serenità, anche se, Dudu e il Miche sono impegnati a giocare con una piccola rana. Completiamo il rito, recuperiamo i timbri e, prima dirigersiverso l’hotel che dista pochi chilometri, compriamo un libricino con il Sutra del loto, un testo importante per la religione buddhista.
Una volta in hotel, una struttura moderna e completa di ogni comfort, prendiamo possesso delle camere al nono e ultimo piano. Li sono presenti due onsen, per uomini e per donne, con vista panoramicissima. Io e Dudu andiamo nell’onsen degli uomini, Micky e il Miche in quella delle donne.
Non sono ancora le 17, pertanto ci prendiamo tutto il tempo necessario per rilassarci, dopodiché usciamo con l’intenzione di trovare un posto dove servono le okonomiyaki, le famose frittata che serve Marrabbio nel suo locale, nel cartone animato “Kiss me Licia”.
Okonomiyaki in giapponese significa okonomi “come piace a te” yaki “alla piastra”. È di una frittata a base di farina, verza e uova, preparata su un’apposita piastra (teppan), a cui vengono aggiunti diversi ingredienti come carne, formaggio, gamberetti, etc. Il piatto viene poi rifinito con una speciale salsa okonomi, maionese giapponese, fiocchi di alghe verdi e scaglie di pesce.
In reception ci suggeriscono un vicino ristorante. Impieghiamo un po’ a trovarlo tra le insegne con ideogrammi giapponesi e niente che indicasse un ristorante. Una ragazza ci aiuta. Arredamento completamente in legno, tavoli bassi con cuscini, cucina a vista con piastra per le okonomiyaki, luce soffusa e tanti persone, tutte giapponesi. Un locale decisamente fuori dal giro turistico, proprio come vogliamo.
Ci togliamo le scarpe, le lasciamo nell’apposita scarpiera ed entriamo. Il menù potrebbe non esserci, tanto non comprendiamo una parola. Ordiniamo quattro diverse okonomiyaki e una birra per me. La birra, servita in un boccale gelato è buona e leggerissima. Le okonomiyaki che ci servono sono: una ai porri, una al riso e due sconosciute. Tutte buonissime. Socializziamo con una coppia del tavolo accanto che ci da un piatto di pomodori. Questa cosa ci fa ridere, ma per non essere scortesi accettiamo e ringraziamo.
Non ci resta che andare a letto. Domani quasi cinquanta chilometri e nessun tempio da visitare.
Comments
1 commentoTommaso
Ago 16, 2018Ecco come si chiamano…okono-frittate,, bone vero?
Alessandro Falleni
Ago 16, 2018Buone davvero. Se mi stai a dire la salsina sopra uniforma un po’ i vari gusti, ma buone.