Siamo nel nostro miniappartamento nelle campagne di Kan’onji, una piccola cittadina nella prefettura di Kagawa. Intorno abbiamo soltanto campi di riso con piccoli corsi d’acqua pieni di pesci. Fuori è ancora caldo e dei bambini giocano a prendere i pesci con un retino.
Oggi è anche la prima giornata di celebrazione dell’Obon, forse la festa giapponese più importante.
–Pillola giapponese del giorno. La festa dell’Obon (お盆)–
L’Obon, conosciuto anche come Festa delle Lanterne, è una festa giapponese che si svolge tra il 13 e il 16 agosto. E’ una celebrazione buddista in onore dei defunti, le cui anime per quattro giorni all’anno ritornano nelle proprie dimore terrene per riunirsi ai propri cari. E’ un momento molto atteso dalle famiglie giapponesi che, una volta l’anno, possono così ricongiungersi con i propri antenati. La tradizione vuole che il primo di agosto le anime si mettano in viaggio per raggiungere le loro case.
Il programma della festa è ricco ed articolato:
- 13/14 agosto – Mukaebi, (迎え火、fuochi di benvenuto): in questi due giorni vengono accese candele e fiaccole chiamate Kadobi, che fanno da guida alle anime dei defunti, in modo che possano trovare la via per trovare la strada di casa. In vista di questo ricongiungimento, è usanza pulire la propria casa come se si attendesse un ospite, decorandola con frutta (qui in Giappone è carissima, ieri al supermercato un melone 14 euro, una pesca 5 euro,…), incensi sacri e piante.
- 15 agosto (Obon): in questo giorno i parenti si recano insieme in visita al cimitero, recitando sutra buddhisti, per proteggere gli antenati di famiglia. In seguito si riuniscono tutti a tavola offrendo cibo e bevande anche per i defunti, come riso o verdure tagliate contenuti in foglie di loto e appoggiate sugli altari domestici. Caratteristica di questa giornata è anche la danza tradizionale, il Bon Odori (盆踊り), ballata intorno ad un fuoco e accompagnata dal ritmo dei taiko (太鼓、tamburi tradizionali giapponesi), il tutto in una cornice di hanabi (花火、fuochi d’artificio).
- 16 agosto – Okuribi (送り火、Fuochi di accompagnamento): è il giorno dei commiati. Vengono accese nuovamente le fiaccole e le lanterne, in modo da mostrare alle anime dei defunti la strada di ritorno verso l’aldilà. Per facilitare il ritorno, gli Okuribi oltre che su strade e sentieri, vengono messi anche lungo i corsi d’acqua. Questo rito ulteriore si chiama Toronagashi (灯篭流 flusso delle lanterne).
–Fine pillola giapponese del giorno–
Per noi sveglia alla stessa ora e solita colazione nella nostra camera di hotel. Preparazione delle bici e in sella. Già dalla mattina si sente che sarà una giornata caldissima.
La prima tappa è il tempio Daikōji, il sessantasettesimo. Ventisette chilometri ed una lunga salita prima di arrivarci. Ormai siamo bravi a fare il rituale buddhista e Micky recita anche il sutra del cuore, in giapponese, o almeno ci sembra. Raccogliamo i timbri nel quaderno e riprendiamo le bici per dirigersi verso il prossimo tempio.
La strada che conduce al settantesimo tempio, Motoyamaji, è bellissima. Stradine sterrate di campagna che disegnano figure geometriche con i campi di riso, colline dolci da percorrere e piccoli villaggi di casine tradizionali con giardini ordinati ed alberi che sembrano usciti dal parrucchiere. Pedaliamo dentro una cartolina; in mezzo a questi paesaggi i chilometri scorrono senza che ce ne accorgiamo. Le nostre pance però se ne accorgono. È ora di pranzo!
Ci fermiamo in un grande supermercato. Dudu ed io entriamo a fare la spesa. La festa dell’Obon fa si che il negozio sia pieno di persone con carrelli stracolmi. Riusciamo a uscirne dopo più di mezz’ora.
Intanto il cielo si è fatto scuro e tuoni fragorosi rompono la tranquillità del nostro pranzo consumato accampati tra le biciclette. Occorre muoversi perché non promette niente di buono; dobbiamo ancora visitare un tempio.
Fortunatamente il settantesimo tempio dista poche centinaia di metri. È un grande tempio con un imponente edificio centrale ed una pagoda di cinque piani. Un piccolo tavolo pieno di sassi con degli ideogrammi scritti a pennarello ci incuriosisce. Stanno ristrutturando la pagoda, la quale è costruita intorno ad un pilastro centrale. I sassi sono scritti da entrambi i lati. In un lato c’è disegnato un ideogramma a scelta del sutra del cuore, la principale preghiera buddhista, dall’altro il nome di chi lo ha scritto e un desiderio. Saranno depositati in una camera sotto il pilastro centrale. Anche noi scriviamo il nostro sasso, scegliendo come ideogramma lo shin, che significa amore. Resterà sotto il pilastro per molti anni.
Intanto il temporale sembra scongiurato. Ci dirigiamo verso la nostra guest house, nelle campagne di Kan’onji. Ad attenderci una anziana coppia di signori, gentili e premurosi. La signora ci prepara delle ciambelle calde, il signore ci porta cocomero e melone freschissimi, prodotti dal suo orto.
È un professore di matematica con la passione delle tradizioni. Insiste affinché ci proviamo dei vecchissimi kimono. Blu il mio, rosa a fiori quello di Micky.
Tenta di spiegare a Micky come si muove il ventaglio, ovviamente in giapponese stretto. Essendo professore si accorge ben presto che gli studenti non stanno capendo niente, quindi, per facilitare l’apprendimento spolvera una vecchia VHS e la inserisce in un vecchissimo televisore a tubo catodico con videoregistratore. Davanti ai nostri occhi compare un buffo e sgranatissimo samurai che muove il ventaglio facendo delle facce da maschera di teatro greco. Notiamo che il video dura solo cinque ore e ventinove. Davanti all’apocalisse Micky tenta il tutto per tutto. Prende il ventaglio e prova due pose. “Good” esclama il professore. Siamo salvi.
Non ci resta che trovare qualcosa per cena e andare a letto. Un supermercato vicino ci risolve il problema. Sontuosa cena giapponese e a letto, con oltre quaranta chilometri nelle gambe.
Domani arriveremo a Zentsūji, città natale del Kobo Daishi e sede di numerosi templi. Tra di essi il tempio numero settantacinque, uno dei tre templi dello Shikoku Henro visitati dal Maestro.