Abbiamo lasciato il Nepal, un paese spettacolare e ricco di cultura con un popolo meraviglioso. Ora siamo in India, un paese complicato, ma affascinante e misterioso, nel quale la confusione del Nepal, che a noi sembrava assoluta, è moltiplicata per mille.
Ci svegliamo di prima mattina per affrontare una giornata dai ritmi impegnativi. Colazione e subito al parco di Lumbini per riuscire a visitare almeno un tempio prima di puntare le biciclette in direzione dell’India. Scegliamo il tempio della Cambogia, che secondo le guide, è tra i più belli.
Entriamo due a due. Un’architettura particolare. Il giardino di ingresso richiama il sito di Angkor Wat, mentre l’accesso al tempio è protetto da enormi cobra a tre teste. L’interno è interamente affrescato con una enorme statua di Buddha dorata ed un altare. I colori sono accesi e brillanti.
È ora di lasciare Lumbini, anche se ci sarebbe piaciuto vedere altri templi.
Dobbiamo percorrere poco meno di cinquanta chilometri ed attraversare una frontiera, prima di prendere un mezzo per il secondo dei tre spostamenti.
Imbocchiamo la strada che ci porta verso una delle frontiere con l’India. Non è la più vicina, ma sembra presidiata. A noi servono i timbri di uscita dal Nepal e di ingresso in India.
La strada è abbastanza buona. A sinistra una serie infinita di baracche. Non hanno acqua corrente, non hanno servizi igienici, non hanno pavimento, ma stanno direttamente sul terreno. Al nostro passaggio i soliti sorrisi e saluti.
Arriviamo nella città di confine di Sonauli. Sembra andare tutto liscio. Nessuno ci chiede il passaporto. Alcuni militari indiani ci chiamano facendoci superare una lunga fila, tra persone incuriosite. Un veloce controllo al passaporto e, manca il timbro di uscita dal Nepal. Senza di quello non è possibile entrare in India. Dobbiamo tornare indietro. Niccolò ed io lasciamo le bici ed andiamo a capire dove poter fare il timbro di uscita. Il caos in quel luogo è totale. Tra camion, viavai di persone, mucche in giro.
Finalmente un insegna: “Tourist police”. Una militare ci controlla i documenti e ci dice di andare indietro di altri 500 metri ad un hotel. Il tempo inizia a stringere. Dobbiamo passare la frontiera e pedalare fino a Nautanwa, dove alle 15:30, alla stazione ferroviaria, ci attende un van per Gorakhpur. Iniziamo a correre con le persone che ci incitano come se fossimo vicini al traguardo di una maratona.
Arriviamo all’hotel. Dentro un piccolissimo ufficio con su scritto Immigration Office. I due ufficiali di frontiera stavano guardando un film e non ci considerano per un bel po’. Finalmente ci considerano. Per avere il timbro di uscita sul passaporto occorre essere fisicamente lì perché devono fare le foto. Completiamo la procedura, otteniamo i timbri e torniamo di corsa da Micky e Michelangelo che abbiamo lasciato tra i militari e gli assalti di persone che volevano soldi.
Arriviamo presso la tenda dei controlli di frontiera indiani. Micky e Michelangelo siedono tranquillamente dietro alla scrivania con i militari indiani che non hanno sentito ragioni ed hanno voluto che sedessero al sicuro con loro. Non gradivano che stessero a contatto con gli altri.
Una volta che tutti abbiamo il timbro sul passaporto possiamo fare le formalità per l’ingresso in India. Ovviamente non è finita qui, perché qui siamo solo registrati, ora occorre andare all’ufficio immigrazione indiano, 800 metri più avanti.
Qui una lunga fila di turisti sta attendendo il permesso per entrare. Tutti orientali, cinesi, thailandesi, del Myanmar. Siamo gli unici occidentali. Foto, impronte digitali e timbro sul visto.
Micky gioca con un bambino arrampicato su un muro . È sporco e scalzo. Dal suo muro guarda le persone fare la fila all’ufficio immigrazione. Probabilmente è il suo modo di evadere dagli obblighi di una vita non semplice che deve affrontare per la sola colpa di essere nato nella parte meno fortunata del mondo. Lo salutiamo con il pugno, ci saluta con baci e sorrisi e noi ce ne andiamo con lo strazio nel cuore.
Siamo ufficialmente e legalmente in India, una nazione grande 11 volte l’Italia con 22 volte gli abitanti dell’Italia. Precisamente siamo in Uttar Pradesh lo stato più grande dell’India che, con una popolazione di oltre 240 milioni di abitanti, è il quinto più popoloso tra le nazioni del mondo. Si dice che questo stato ed il Bihar siano la vera India.
Usciamo a fatica dal caos di Sonauli anche se di fatto non esiste campagna, semplicemente un tratto con meno densità abitativa. Arriviamo a Nautanwa. Il traffico è bloccato perché una mucca ha pensato di sedersi nel mezzo alla strada. Nessuno tenta di farla spostare, semplicemente il suono dei clacson aumenta di intensità diventando insopportabile.
Le persone si affiancano per salutarci, farci i video o scambiare qualche parola. Noi siamo abbastanza di fretta. Dobbiamo raggiungere la stazione e, magari, comprare una SIM card per avere traffico dati in India.
Ecco la stazione, un piazzale con un paio di chioschi in legno che i NAS chiuderebbero sulla parola, un treno in partenza, qualche studente, quattro mucche. Ancora il nostro furgone non è arrivato.
Micky rimane alla stazione e a guardare le bici, mentre Niccolò, Michelangelo ed io andiamo a cercare qualcosa per mangiare e la SIM card. Uno studente di medicina ci accompagna al negozio che vende le SIM card, ma a metà strada rinunciamo perché abbiamo lasciato i passaporti alle biciclette. Intanto un ragazzino più o meno dell’età di Michelangelo si avvicina e chiede insistentemente l’elemosina. Ovvio che a noi non costa niente dare loro un euro, ma è sconsigliato dare loro soldi.
I ragazzini mendicanti sono tantissimi, ed è impossibile aiutarli tutti. In India quasi 80 milioni di persone non hanno una casa. L’UNICEF distingue tra «bambini sulla strada», che trascorrono gran parte della giornata sulla strada ma hanno una casa, e «bambini della strada», che vivono sulla strada, senza casa né famiglia.
Spesso questi ultimi entrano nel racket delle elemosine nel quale un bambino ogni sera deve consegnare i soldi ricavati dall’elemosina al suo sfruttatore. Ci sono bande criminali che comprano i bambini da famiglie povere e analfabeti convincendole che lo fanno per il bene del bambino e lo faranno studiare, oppure rapiscono i bambini che sono già in strada in paesi poveri per portali nelle metropoli ad elemosinare. Quelli deformi o malati portano un maggiore guadagno pertanto a tanti vengono amputati gli arti, sfregiati o accecati con l’acido.
Per questo tante associazioni si combattono contro questo sistema salvando bambini e facendoli studiare. Le stesse associazioni che consigliano di non dare soldi per non alimentare il racket o il vagabondaggio.
Prima di partire abbiamo studiato tanto e discusso di come ci saremmo comportati, prendendo contatti e supportando le associazioni. Qui seguiamo le regole, ma metterle in pratica non è semplice quando vediamo gli occhi dei bambini o sentiamo le loro vocine che chiedono qualche rupia.
Ci passa completamente la fame. Intanto arriva il forgone. A dire il vero un pulmino venti posti. Ancora un errore di comunicazione.
Due ragazzi scortesi, uno smilzo, l’altro grassoccio che assomigliano a Gaspare e Orazio della carica dei 101, ci caricano le biciclette sul tetto del pullman senza alcuna cura, nonostante le nostre proteste.
Ci chiedono se vogliamo fermarci a mangiare. Decliniamo l’offerta. L’unica fermata che vorremmo fare è ad un negozio di telefonia per la SIM card. Il tragitto dovrebbe durare un paio d’ore. L’autista ha il clacson sensibile e siamo noi ad uscire da Nautanwa suonando a tutti. La strada è buona e noi guardiamo dal finestrino prendendo il primo assaggio di India.
Ci fermiamo. Ci dicono 5 minuti. Gli autisti si siedono al tavolo e si fanno servire un pasto. Alle 17 durante un viaggio di due ore dopo che avevamo esplicitamente detto di non volerci fermare.
Stiamo fermi 20 minuti e ripartiamo. Noi siamo contrariati. Ricordiamo loro della SIM e, il tipo grassoccio che è al telefono da quando siamo partiti, ci dice di aver parlato con l’hotel. La troveremo là.
Arriviamo a Gorakhpur una città di circa 650.000 abitanti che li dimostra tutti. Ogni volta che ci sembra di aver raggiunto il massimo possibile di confusione, puntualmente quel massimo viene superato.
L’hotel è esattamente nella strada di un mercato, quindi con il pulmino passiamo tra la gente e tra i banchi del mercato, ovviamente suonando il clacson. Scarichiamo le bici. Un fanale rotto e due nastri manubrio danneggiati. Protestiamo, ma l’impressione è di essere presi in giro.
Arriviamo in hotel. Stanze bruttine, ma grandi. Sono già le 20 e dobbiamo cenare. Con l’aiuto di un gentilissimo ragazzo alla reception riusciamo ad ordinare le pizze da Domino’s, giusto per non saltare il rito di ogni viaggio.
Siamo stanchi. Doccia e a letto. Domani ci attendono 65 chilometri per arrivare a Kushinagar, luogo dove è morto Buddha e secondo dei quattro luoghi sacri.