Ci avviciniamo alla fine del nostro viaggio che tocca i quattro luoghi sacri per i fedeli buddhisti. Oggi pedaleremo l’ultima tratta lunga del viaggio. Pedalare le tratte lunghe è bello perché è allenante e da la possibilità di godersi la bicicletta, ma il rovescio della medaglia è quello di potersi fermare meno per mischiarci alle persone e per fare foto.
Micky e Niccolò hanno avuto una notte piuttosto agitata ed insonne a causa di una costante nausea ed indolenzimento alla pancia. La giornata non si presenta proprio bene. Oltre a questo nessuna delle nostre carte di credito, tre io e tre Micky, viene accettata dal POS dell’hotel.
Qui in India il pagamento con carta di credito è un terno al lotto. Gli esercizi hanno il rapporto con una banca che gli fornisce il POS, ma la banca non è detto che accetti le carte. Gli hotel più grandi ed organizzati hanno più POS, e generalmente, almeno uno funziona.
Inizia la Via Crucis degli ATM, gli sportelli automatici per il prelievo dei contanti. Primo ATM non accetta le nostre carte. Secondo ATM non accetta le nostre carte. Terzo ATM accetta la mia VISA. E pensare che, nei nostri viaggi, non abbiamo mai avuto nessun problema di questo tipo.
Torniamo all’hotel con i contanti ed il tizio ironizza facendo vedere che la sua carta, di un circuito nazionale, viene accettata ed mostrandosi decisamente maleducato con Micky. Ovviamente questo manda Micky su tutte le furie e, senza che ci sia bisogno di intervenire, probabilmente quel signore spiritoso si ricorderà per un po’ di quella cicloviaggiatrice italiana che gli ha dato una lezione sul rispetto.
Abbiamo perso un sacco di tempo e riusciamo a partire non prima delle 11. Oggi pedaleremo quasi tutto il giorno in campagna per poi lasciarla definitivamente. La tranquillità e la pace della campagna indiana contrastano con l’ansia di essere partiti tardi e con il malessere di Micky e Niccolò.
Percorrendo una stradina stretta tra i campi Michelangelo va con una ruota fuori strada e cade rovinosamente a terra. Io che sono subito dietro di lui non riesco ad evitarlo, e per non montarlo sopra mi butto nel fosso con la bici che lo investe in pieno. Tanto spavento da parte di tutti, ma a parte una bella abrasione al braccio e qualche livido sta bene. Ci fermiamo per medicarlo, prima di ripartire, mentre la solita folla di persone si raduna intorno a noi, con tanto di selfie e dirette social durante la medicazione.
In un piccolo villaggio lungo la strada c’è una scuola. È una struttura in muratura un po’ arrangiata, con un porticato in legno e muratura sotto il quale i bambini stanno seduti a terra; stanno cantando una canzone. Qualcuno si accorge del nostro passaggio e grida. Noi ci fermiamo e i bambini ci corrono incontro.
Mentre Niccolò, Michelangelo ed io stiamo attenti alle biciclette, Niccolò fa volare il drone e Micky si avvicina alla scuola per fare qualche fotografia. Il maestro la invita ad entrare. È una scuola senza una suddivisione precisa in classi, non hanno uniforme e la maggioranza senza scarpe. Bambini decisamente piccoli condividono l’aula con bambini che da noi sarebbero in terza o quarta elementare.
Il maestro, di geografia, lascia a Micky il posto alla lavagna e le consegna un gesso, in modo che possa tenere la sua lectio magistralis.
Micky scrive il suo nome e disegna il planisfero mostrando indicando dove si trova la scuola e dove si trova Livorno. In aula non vola una mosca per l’interesse suscitato da questa strana e inaspettata lezione. Al termine della lezione i bambini cantano una canzone a Micky e le vanno intorno per abbracciarla. Micky ricambia insegnandogli “Whisky il ragnetto”.
Finalmente escono tutti fuori e ci vengono incontro. Il maestro si presenta e i bambini ci circondano toccando incuriositi delle biciclette per loro così strane e piene di dispositivi elettronici.
Non andremmo mai via, ma dobbiamo percorrere ancora oltre 50 chilometri e inizia ad essere tardi, con due elementi del gruppo decisamente sotto tono, inoltre dovremmo fermarci a mangiare qualcosa.
La sosta per il pranzo è brevissima. Niccolò e Micky non toccano cibo. La strada ora corre lungo la ferrovia passando costantemente da una parte all’altra dei binari e costringendoci ad interminabili file ai passaggi a livello. Non esistono le corsie. I mezzi si posizionano per tutta la larghezza della strada in attesa che il treno o i treni passino e la sbarra si alzi. Dopo si assiste a scene da battaglie medievali. I due schieramenti partono a tutto gas uno contro l’altro facendo presagire un imminente disastro, invece in qualche modo, e con l’ausilio dell’ immancabile colpo di clacson pian piano la matassa si sbroglia.
È tardi quando entriamo a Gaya. L’hotel è decente. Abbiamo una quadrupla. Micky e Niccolò arrivano a fatica in camera. Per entrambi febbre alta.
Cena in camera e a letto, nella speranza che domani si sentano meglio.