Santa Maria di Leuca, De Finibus Terrae, ai confini della terra, che in epoca romana indicava l’estremo limite dei “Cives” (cittadini) romani, al di là del quale cominciavano i “Provinciales” (i coloni).
Dopo aver pedalato per oltre mille chilometri, aver affrontato salite e caldo, aver combattuto la fatica e i dolori muscolari, le ginocchia da giocatore di calcio a fine carriera e le appendiciti, siamo arrivati alla fine del mondo, ai piedi del faro, di fronte alla Basilica di Santa Maria de Finibus Terrae.
La missione è compiuta. Ci rimangono tre giorni, durante i quali risaliremo un po’ la costa ionica e faremo un po’ di mare.
Ci siamo svegliati nel nostro campeggio di Santa Cesarea Terme, un campeggio a balze che scende su una scogliera a picco sul mare. Spostarsi per andare in bagno comporta percorrere 50 metri di ripida discesa seguito da altrettanti di ripida salita per tornare in tenda; ciò significa che durante la notte la decisione di andare in bagno sia maturata poco prima di scoppiare 😃.
La prima tappa della giornata è la grotta della Zinzulusa. Si trova a Castro, uno primi centri abitati nella storia della penisola salentina, probabilmente dovuto al fatto che sue coste sono disseminate di grotte che hanno favorito l’insediamento di popolazioni preistoriche.
Sono due le strade che map.me ci suggerisce per arrivare alla Zinzulusa. Una ci fa scendere per poi risalire seguendo la strada principale, una continua a salire per poche centinaia di metri, proseguendo sulla stessa strada del campeggio per poi scendere verso la grotta.
Scegliamo la soluzione con meno salita da pedalare. Arrivati sulla cima della collina dobbiamo svoltare su di una minuscola stradina sterrata che scende. Man mano che avanziamo, stretti tra un muretto a secco e una parete di fichi d’india, la strada si fa sempre più stretta. Scendiamo di bici e proseguiamo bici a mano, superiamo massi crollati dal muro, fino a quando una grossa frana non interrompe il sentiero. Non ci resta che tornare indietro.
Percorrere la strada a ritroso è una faticaccia, tanto che arrivati in cima ci è passata la voglia di andare alla grotta della Zinzulusa. Proseguiamo fino a Castro Marina. Li ci fermiamo in un bar che un caro amico nativo della zona ci ha consigliato e, tale è la voglia di rendere ancora più ospitale la sua terra (che a dire il vero lo è già molto) e la partecipazioni al nostro viaggio, che siamo stati raccomandati al barista.
Un’ottima colazione e una gradita sorpresa. Marco, un amico e collega romano, in ferie in Puglia, passa a salutarci. Come ciliegina sulla torta, prima di ripartire, il barista ci regala dei rustici da gustare per pranzo.
Pedaliamo ora sulla litoranea in direzione di Tricase Porto per andare a visitare la grotta verde. Parcheggiamo le bici con i bagagli in un posto dove si possono facilmente controllare e scendiamo lungo una scogliera accidentata e di forma irregolare.
Decidiamo di andare dentro la grotta a gruppi. Prima io con Dudu e il Miche, poi Micky, sempre con Dudu e il Miche.
L’ingresso della grotta verde rimane sulla sinistra rispetto alla scogliera da cui siamo scesi. Entriamo a nuoto, l’acqua è bassa. Davanti, nell’oscurità si vedono le ombre delle persone. Avanziamo quasi al buio. Io per primo, il Miche aggrappato alle mie spalle e Dudu dietro. Superiamo degli scogli per entrare un un ambiente più ampio. Una volta giunti all’interno lo spettacolo che ci si presenta davanti è entusiasmante: le numerose fessure presenti sulle pareti della grotta lasciano filtrare la luce del sole che, riflettendosi sull’acqua presente all’interno, di colore verde e cobalto, proiettano una luce verde smeraldo sulle pareti interne della grotta. Non abbiamo mai visto niente del genere. I bimbi sono letteralmente impazziti, e, a dire la verità, anch’io sono strabiliato. Rimaniamo lì a godere dello spettacolo, dopodiché torniamo indietro a dare il cambio a Micky. Anche per lei un’esperienza da ricordare.
È arrivato il momento di riprendere la bici e dirigersi verso la nostra meta. Scendiamo lungo la litoranea per un tratto per poi ripiegare verso l’interno seguendo la SP81. È caldo e le auto sembrano che stiano partecipando ad una prova a tempo; sfrecciano a tutta velocità vicino a noi, dando degli energici colpi di clacson prima di sorpassarci. Ormai siamo abituati. Procediamo in una ordinata fila indiana sulla linea bianca al lato della strada.
Ci fermiamo nello sterrato al lato per fare l’assalto ad un fico che ci regala dell’ottime fiche salentine. Sono dolcissime e ne facciamo una scorpacciata. Improvvisamente si ferma un auto accanto a noi. Un ragazzo, con una ragazza di fianco si rende conto di avere un’urgenza comunicativa. Ci deve dire che non possiamo circolare con le biciclette su una strada statale. Gli facciamo presente che siamo su una strada provinciale, e, anche se fossimo su una strada statale avremmo potuto circolare. A quel punto, giusto per non darcela vinta, ci dice che comunque non possiamo sostare al lato della strada, poi con una sonora sgommata se ne va. Mah!
Siamo quasi arrivati. Una sosta ad un supermercato per mangiare qualcosa di fresco e dissetante e ripartiamo.
Scendendo vediamo il mare, o meglio i mari, infatti nei pressi di Santa Maria di Leuca, precisamente a punta Melisio, l’Adriatico e lo Ionio si incontrano, ma non si mescolano, tanto che in alcuni giorni il confine è davvero ben visibile. Questo a causa della diversa salinità delle acque che porta una differenza di colore percettibile anche a occhio nudo.
Entriamo in Santa Maria di Leuca, proseguiamo piegando leggermente sulla sinistra, una piccola salita, l’ultima a ricordarci tutte quelle pedalate fino a ora, e entriamo in una grande piazza lastricata. Sulla sinistra la basilica di Santa Maria de Finibus Terrae, di fronte a noi il faro.
La basilica, ha una storia che ci riporta agli albori del cristianesimo. Sorge dove c’era stato il tempio dedicato alla dea Minerva del quale, entrando in Chiesa, sulla destra, si conserva un cimelio: l’ara o una parte di essa, su cui venivano offerti dai Leuchesi i sacrifici alla dea. La tradizione vuole che a Santa Maria di Leuca sia sbarcato S. Pietro, il Principe degli Apostoli, proveniente dall’Oriente per recarsi a Roma.
Andiamo al faro. Appoggiamo le bici e ci mettiamo a guardare il mare, felici per il traguardo raggiunto. Rimaniamo lì per un po’ in silenzio seduti sulla spalletta a guardare il mare prima di andare verso la basilica.
Micky rimane fuori a controllare le bici. Dudu, il Miche ed io entriamo. All’ingresso, vedendoci sudati e certo non vestiti da turisti, il signore seduto ad un banchino da scuola ci chiede se abbiamo le credenziali, dando per scontato che fossimo pellegrini. Ci accompagna allora in sacrestia dove una suora ci controlla la validità delle credenziali, il percorso che abbiamo fatto e ci fa compilare un foglio con i dati del pellegrinaggio, prima di consegnarci il Testimonium.
Il Testimonium è il documento che certifica l’avvenuto pellegrinaggio devotionis causa, sostanzialmente il corrispettivo della “Compostela”, che abbiamo ricevuto due volte al compimento del Cammino di Santiago.
Compilo i dati per tutti, saluto la suora e vado fuori a dare il cambio a Micky.
Dopo un po’ escono dalla chiesa tutti e tre con quattro Testimonium. Il Miche stringe il suo tra le mani con orgoglio, Dudu studia il suo. Se lo sono meritato.
È tardi e dobbiamo trovare un posto per dormire. Incontriamo un gruppo di cicloviaggiatori pugliesi. Eugenio, uno di loro, mi ferma. È un fortunato possessore della Locomotive Westlander, la mia bici. Parliamo un po’ della bici come gli adolescenti parlano del loro nuovo scooter poi ci salutiamo.
Facciamo qualche chilometro, una bella spesa per cena e troviamo un campeggio fuori Leuca, in direzione Gallipoli. Perfetto.
Ora ci aspettano tre giorni di relax, sempre in bici e poi la partenza in treno da Lecce.