Siamo nella grande mela, probabilmente non il luogo più salutare dove pedalare. Milioni di persone e automobili corrono in ogni direzione. Rumori di clacson, di musica ad alto volume, di voci e attività umane. Odori di cibo da fast food. Sicuramente un luogo affascinante e iconico. Abbiamo attraversato tante grandi città con la bicicletta: Da Tokyo a Bangkok, da Los Angeles a Mosca da San Francisco all’Avana, ma New York è sempre New York.
Ci svegliamo a Stamford. Con il passare dei giorni è sempre più faticoso alzarsi presto. Alle sette e mezzo andiamo a fare colazione. La sala è gremita di persone senza mascherina. Qualcuno tossisce. Noi non abbiamo intenzione di correre alcun rischio, quindi prepariamo un piattino con pane tostato , prendiamo qualche marmellata confezionata, uno yogurt, del caffè o del succo di arancia e andiamo a mangiare in camera.
Riusciamo ad uscire poco prima delle nove. Il percorso è un susseguirsi di faticosi saliscendi che ci accompagneranno fino a New York tra grandi palazzi e tipiche case a due piani in legno della periferia americana.
La temperatura è intorno ai cinque gradi e un vento freddo e fastidioso ci taglia le guance. Ci fermiamo in un parco a fare una colazione con le scorte che abbiamo, mentre una colonia di gabbiani attende che ce ne andiamo per gettarsi sulle briciole che lasceremo per terra.
Riprendiamo le bici e nel giro di qualche chilometro abbandoniamo lo stato del Connecticut. Superiamo una serie di ponti e siamo nello stato di New York.
Pedaliamo lungo la Palmer Avenue a Mamaroneck quando un chiosco con una lunga fila di persone in attesa di mangiare ci incuriosisce. La scritta Walter’s disegnata con lettere composte da salsicce lascia poco spazio all’immaginazione sul menù. Pranzeremo con gli hot dog di Walter!
Lasciamo le bici e ci sediamo nei tavoli all’aperto quando notiamo varie targhe che incoronano Walter come un luogo storico e pluripremiato per i suoi hot dog; il chiosco è qui dal 1919. La specialità della casa è il famoso hot dog preparato con un mix di carni di maiale, manzo e vitello. Io ne prendo uno con ketchup e mostarda, uno con ketchup per i bimbi e quattro patatine. Un pranzo da newyorkesi consumati.
Il tempo di scambiare due parole con una signora che vuole sapere da dove veniamo e che percorso facciamo e ci rimettiamo in sella.
Entriamo nella città di New York dal Pelham Bay Park, il più esteso parco pubblico di New York; è grande oltre tre volte Central Park ed è situato nella parte settentrionale del Bronx. Lo attraversiamo percorrendo una delle sue numerose piste ciclabili.
Siamo ora nel cuore del Bronx, così chiamato per Jonas Bronck, un l’olandese, che comprò l’area nel 1639 dagli Indiani. Noi associamo il Bronx con quello che ci è stato rappresentato da film e telefilm. Effettivamente negli anni ‘70 era un quartiere con un alto tasso di criminalità. Con omicidi, spaccio di droga ed incendi dolosi. Veniva considerato uno dei più pericolosi al mondo. Oggi non è più così. Ci siamo già passati sedici anni fa durante la maratona di New York, ma tutto era fermo per la gara. Ora sa di vita vera di periferia newyorchese. Le strade sono congestionate dal traffico. Passiamo lungo una strada a sei corsie che corre sotto una sopraelevata zigzagando tra le auto. Ai lati della strada i negozi, non quelli scintillanti che possiamo trovare a Manhattan.
Prendiamo un vialone che ci conduce al porto sul fiume East. Il sole sta tramontando e lo skyline di Manhattan è spettacolare.
Ci imbarchiamo su un primo ferry boat che ci porta a Manhattan, poi su un altro che ci porta finalmente a Brooklyn, il quartiere dove dormiremo. Abbiamo preso un bed and breakfast a Prospect Heights una zona residenziale famosa per le brownstone, le case di mattoni scuri. Qui si sono trasferiti molti vip. Da Woody Allen a Barbra Streisand, a Mike Tyson.
Noi abbiamo appuntamento con George, il proprietario di casa. Lo chiamiamo non appena siamo fuori. Ci viene ad aprire un signore afroamericano sulla cinquantina, alto, con una vistosa stempiatura e delle lunghe treccine racchiuse da un elastico. Ci invita a scaricare I bagagli, dicendoci che per il momento dobbiamo lasciarli fuori di casa. Entriamo per vedere la stanza e chiedere dove possiamo mettere le bici. Appena entrati sentiamo un forte odore di curry. Quadri appesi sulla meditazione. George parla poco e velocemente; comunque si dimostra scortese.
Le biciclette ci dice che dobbiamo lasciarle fuori legate. Casa sua non è un garage. Insistiamo ma è irremovibile. Dudu allora inizia a legare le biciclette, ma George gli dice, bruscamente, di non volere bici di fronte a casa sua.
Iniziamo ad essere irritati. Non trova la nostra prenotazione, anche se abbiamo la conferma da parte di Booking.com, pertanto dobbiamo assistere (in silenzio) mentre telefona per chiarire la situazione. Non appena Booking.com ci informa che c’è stato un disguido, scusandosi e assicurandoci che non ci è stato fatto alcun addebito, salutiamo questo strano e maleducato personaggio e ce ne andiamo.
Utilizziamo la stessa piattaforma per cercare un hotel vicino che possa fare al caso nostro. Prenotiamo all’hotel Sheraton Brooklyn New York. È a poco meno di due chilometri da noi.
Una volta arrivati all’hotel parliamo con manager per trovare una sistemazione anche per le bici. Dopo aver aspettato una mezz’ora fuori ci permettono di sistemare le biciclette in un locale dell’hotel adibito a magazzino. Ora siamo decisamente più tranquilli.
Arriviamo in camera alle otto passate. Lasciamo le borse e usciamo subito per andare a mangiare qualcosa. A meno di un chilometro troviamo Five Guys un buon fast food dove consumiamo hamburger e patatine.
Torniamo in hotel al termine di una giornata lunga e stancante. Ora passeremo cinque giorni nella grande mela.