Abbiamo concluso il nostro viaggio. Ci rimane qualche giorno per visitare Marrakech, fare una escursione nel deserto e prendere il volo che ci riporterà a casa.
Ci svegliamo nel Riad nel mezzo alle dune di sabbia dell’Atlantico. Pensavamo di essere isolati dal mondo, ma non è così. Sin dalla prima mattina camion e ruspe iniziano a percorrere la stretta strada sterrata a poche decine di metri dalle nostre camere.
Classica colazione marocchina che ormai abbiamo imparato ad apprezzare e partiamo.
Possiamo scegliere tra due strade: tornare indietro e risalire su asfalto o proseguire lungo la stradella sterrata per qualche chilometro e poi risalire sulla strada principale.
Decidiamo per la seconda strada. Pedaliamo su sterrato di fianco all’oceano. La lunga spiaggia di sabbia dorata che stiamo costeggiando ci impone una prima sosta. Una camminata nell’acqua con il solo rumore delle onde è il modo migliore per iniziare la giornata.
Passiamo una mezz’ora a goderci il mare e ripartiamo.
Due rottweiler, fortunatamente legati con robuste catene, ci sbranerebbero volentieri. Noi passiamo veloce meno, vedendo i cue cani non darsi pace fino a che non siamo abbastanza lontani da quello che reputano il loro territorio.
Il sentiero diventa sabbioso; ci ritroviamo a spingere le bici in una sabbia finissima che arriva a coprire completamente la parte inferiore del copertone. Con il senno di poi, che è sempre una scienza esatta, la scelta della strada è stata pessima.
Percorrere tre chilometri a spinta nella sabbia è una fatica immane. La strada torna pedalabile, ma ci attende un’altra delle 7 fatiche di Ercole. Poco più di un chilometro di sterrato per salire circa 200 metri, con una pendenza media di circa il 15%. Niccolò, Michelangelo ed io la facciamo sui pedali stando attenti a non spostare il peso troppo indietro per non far ribaltare la bici, Micky sale a spinta.
Finalmente ritroviamo l’asfalto. Un altro paio di salite decisamente impegnative, seguite da tratto decisamente tranquillo e godibile con vista sull’oceano.
È ormai ora di pranzo e fino adesso non abbiamo incontrato niente dove poter mangiare qualcosa.
Ci fermiamo in una piattaforma di cemento oltre il bordo della strada e pranziamo con ciò che abbiamo dietro: pane e olio, frutta fresca e secca, pane e miele e qualche biscotto. Poi una mezz’ora sdraiati al sole prima di ripartire.
Siamo ormai vicini ad Essaouira quando Michelangelo finisce dentro una enorme buca sull’asfalto e fora la ruota anteriore, rovinando il copertone. Inutile sperare che il liquido contenuto nella ruota tubless possa ripararlo. L’unica soluzione è quello di togliere la valvola, pulire bene il cerchio e mettere una camera d’aria. Durante la riparazione,dalla boscaglia circostante, continuano ad uscire persone incuriosite. Un bambino di neanche dieci anni inizia frugare nei nostri bagagli per vedere di prendere qualcosa. Non è una sensazione piacevole, ma gli diamo tutti i biscotti che abbiamo.
Ripartiamo. L’ultimo tratto di superstrada e siamo a Essaouira.
È una città balneare affacciata sull’oceano Atlantico. Le spiagge lunghissime e i surfisti in mare la fanno sembrare una località californiana.
Entriamo nella Medina, protetta dalla Skala de la Kasbah, una fortificazione settecentesca affacciata sul mare. Per le strade solo turisti, in maggioranza francesi, spagnoli e italiani. Tutti ad affollare i negozi di souvenir e discutibile artigianato locale, i cui prezzi sono sensibilmente più alti, rispetto a quelli che abbiamo incontrato finora.
Il nostro Riad è carino, anche se le scale che portano alle camere hanno un forte e fastidioso odore della pipì dei gatti che girano liberi.
Una volta scaricati i bagagli veniamo accompagnati ad un deposito, a pagamento, dove lasciare le biciclette. Poi ci rilassiamo. Un giro per la Medina, una cena in un ristorante locale e a letto presto.
Abbiamo finito il nostro tour in bicicletta. Domani, in mattinata proveremo a surfare nell’oceano, poi nel pomeriggio prenderemo l’autobus per Marrakech.