Ci sono giornate, a volte, la cui narrazione diventa particolarmente difficile; in cui è complicato trasmettere le emozioni, le sensazioni, i sentimenti. Oggi è proprio uno di quei giorni, nella cui descrizione non sarò in grado di dare l’idea precisa di quello che abbiamo provato: timore, paura, coraggio, eccitazione, compiacimento, felicità, euforia. Soprattutto vorrei riuscire a raccontarlo senza farlo sembrare una avventura epica. Posso assicurare che di eroico non c’è proprio niente, c’è però la consapevolezza di aver vissuto un’esperienza insieme che ci ricorderemo per molto tempo.
Dopo una notte passata tra il letto e la finestra, per verificare le condizioni meteo, alle sei siamo definitivamente in piedi. Secondo le previsioni meteo la tempesta avrebbe dovuto iniziare almeno due ore fa. Si saranno sbagliati? Magari l’annunciata tempesta di neve si è spostata su un’altra zona.
Dopo neanche dieci minuti inizia a nevicare. Una neve intensa, con folate di vento forte che spazzano le fronde degli alberi. Il piazzale di fronte alla nostra camera diventa bianco velocemente. Noi siamo incollati alla finestra. Alle prima luci dell’alba andiamo fuori a vedere la prima neve dell’anno. Il Miche esce per primo a rotolarsi nella neve, felice come solo i bambini sanno esserlo.
Io e Micky ci godiamo la situazione con una certa preoccupazione per quello che ci riserverà questa giornata. Dovremo percorrere una decina di chilometri tra le colline per poi scendere verso la stazione dell’aeroporto di Baltimora-Washington. Una volta sul treno, e arrivati a Washington DC, dovremo pedalare per quindici chilometri per attraversare la città ed arrivare al nostro hotel di Arlington, una città attigua a Washington DC, che è in pratica un quartiere della capitale.
Abbiamo prenotato, per le 12:40, quattro biglietti per noi e quattro per le bici con Amtrak, il sistema di trasporto extraurbano su ferrovia negli Stati Uniti. Possiamo fare le cose con calma, ma non troppo. Non sappiamo se riusciremo a pedalare o se dovremo fare tutto il tragitto a spinta. Per le 9:30 dobbiamo essere in bici.
Nel piazzale intanto si sta accumulando la neve. Facciamo colazione e usciamo. Conteniamo con fatica l’entusiasmo del Miche di fronte alla neve, ma per giocare avrà tempo. Ora occorre stare concentrati. Nessuno di noi ha mai pedalato in queste condizioni.
Dopo una partenza un po’ incerta siamo in strada. Se non fosse per il vento forte che ci taglia le guance, l’unico lembo di pelle rimasto scoperto, sembrerebbe di pedalare nel fango, e, questa situazione la conosciamo. Per il freddo siamo ben attrezzati. Indossiamo un primo strato di intimo termico, sopra pantaloni caldi da alpinismo e felpa in pile. Infine giacca da montagna, cappello, paracollo, guanti e maschera da snowboard.
Avanziamo in formazione tipo: Micky come apripista, poi Dudu, il Miche, ed io a chiudere la carovana, in modo che possa vedere e aiutare chi sta davanti. Da dietro grido al Miche per guidarlo e avvisarlo se vedo dei pericoli davanti, o semplicemente perché non voglio che stia in piedi sui pedali.
Arriviamo ai piedi della prima collina da superare. Di fronte a noi una salita ripida. Il fondo è ghiacchiato e possiamo assistere ad una di quelle scene che mostrano i telegiornali quando parlano delle bufere di neve degli Stati Uniti. Camion intraversati con le quattro frecce in attesa di chissà cosa, auto che tornano indietro.
Piano piano e con fatica saliamo, poi giù con attenzione; dobbiamo combattere con il ghiaccio per terra e con il vento che ci spinge su di un lato, tanto da far cadere il Miche, che si rialza in un battibaleno. Un freno della bici di Micky si blocca dal ghiaccio.
Lasciamo la strada per imboccare una strada in un bosco. Qui la neve è alta e soffice. Pedalare è decisamente più faticoso, ma non si corre il rischio di scivolare nel ghiaccio o di essere investiti da un mezzo; inoltre lo scenario è mozzafiato. Dudu e il Miche cadono più volte nella neve soffice rimanendo per terra a ridere e rotolarsi prima di riprendere la bici. Ci sentiamo dei novelli Amundsen che avanzano verso il polo sud.
Riguadagnamo la strada per gli ultimi metri prima della stazione. Siamo coperti di neve, così come le bici. Entriamo nella sala d’attesa cercando di appoggiare le bici dove non possano dare fastidio alle persone. Un alto e robusto signore, addetto ad asciugare il pavimento, ci viene incontro. Energicamente ci sbatte il suo grosso spazzolone, stile mocio, tra i piedi, poi passa sotto le bici borbottando qualcosa. È evidente che gli stiamo bagnando il pavimento, ma sta imperversando un tormenta di neve.
Su un grande display la situazione dei treni in partenza e in arrivo. Molti cancellati, gli altri in ritardo. Attendiamo le informazioni sul nostro treno. Fortunatamente è nel gruppo dei treni in ritardo.
Riusciamo a prendere il treno e a sistemare le biciclette. Io e il Miche in una carrozza, Micky e Dudu in un’altra. Accanto a noi una ragazza sulla trentacinquina, magra, alta, gli occhi azzurri, con una forte somiglianza ad Angelina Jolie. Decisamente bella. È salita insieme a noi; ha con sè due valigione pesanti e lo sguardo spaurito di chi non sa cosa deve fare. Passa il tempo registrando messaggi vocali e prima di ogni fermata chiede a tutte le persone della carrozza se deve scendere. Spiega che è la prima volta che va a Washington e non sa quando scendere. In realtà è piuttosto semplice. Basta ascoltare la voce registrata che annuncia la prossima stazione. Il Miche ed io prima di ogni stazione ci mettiamo a ridere scommettendo che Angelina si alzerà di nuovo per fare il giro della carrozza per chiedere informazioni.
Arriviamo a Washington DC. Il robusto capotreno ci aiuta a scaricare le bici. L’interno della stazione è bellissima; una serie di padiglioni sono connessi con arcate e loggiati, il soffitto è alto, le pareti sono ricoperte di marmi e decorate con grandi statue; sembra quasi di essere in una chiesa.
Finalmente usciamo. Siamo nella capitale degli Stati Uniti d’America. Washington DC, dove la sigla D.C. sta per “District of Columbia”, ovvero il distretto non appartiene a nessuno stato, per garantire che nessuno stato possa esercitare influenza sulla capitale.
La tempesta è passata il cielo è azzurro, le strade sono ancora coperte di neve. In giro pochissime persone, le strade sono quasi deserte e i mezzi pubblici di superficie fermi. Una occasione troppo ghiotta per andare diretti in hotel. Gli alberi ai lati danno un tocco fiabesco ai viali deserti. Arriviamo a Capitol Hill, sede del governo. Anche qui non ci sono persone o turisti una foto di rito per le bici e continuiamo la nostra visita privata della città. Il parco che conduce al Lincoln Memorial, la Casa Bianca, l’obelisco.
Attraversiamo il fiume Potomac attraverso l’Arlington Bridge, che conduce ad Arlington, dove soggiorneremo. Siamo nello stato della Virginia, il nono ed ultimo stato che tocchiamo in questo viaggio. Il nome dello stato deriva da quello della Regina d’Inghilterra Elisabetta I, denominata la Regina Vergine.
Qui la neve è più alta. Per un po’ procediamo a spinta. Sono ormai le cinque. La temperatura è intorno ai -6 e le strade stanno ghiacciando. Arriviamo all’hotel. Micky e Dudu escono di nuovo per andare al vicino Domino’s pizza. Stasera pepperoni pizza per tutti. Ce la meritiamo. Durante la cena il telegiornale riporta la notizia che il presidente Joe Biden, impossibilitato ad atterrare a Washington DC, è rimasto bloccato in Delaware a bordo dell’Air Force One. Noi ripercorriamo i momenti più intensi di una giornata che difficilmente dimenticheremo.
Ora siamo pronti a trascorrere i prossimi tre giorni nella capitale, prima di tornare in Italia.