Una giornata in Uttar Pradesh nella quale abbiamo toccato con mano le situazioni difficili in cui si trova parte della popolazione; quelli che qui sono chiamati “intoccabili “, persone che e non hanno né un presente né un futuro.
La sveglia che suona di prima mattina inizia a farsi pesante, ma le cose da fare sono tante e non possiamo permetterci di uscire tardi. Colazione al buffet a base di cibo indiano e vegetariano e usciamo senza bagagli per andare a visitare il luogo nel quale è morto Buddha.
Lasciamo a malincuore le bici in un parcheggio non esattamente in vista ed entriamo nel parco del tempio costruito attorno al luogo nel quale è morto Buddha. Ad accoglierci un gruppo di bambini della strada. Sono sporchi, scalzi e vestiti di stracci. Ci assalgono chiedendoci soldi.
Ammetto di essere in grossa difficoltà, ma come spiegato nel post di ieri, dare i soldi ai bambini non è il modo corretto di aiutarli. Micky è la più brava di tutti noi. Offre a questi bambini la cosa che non hanno e nessuno gli potrà togliere. La considerazione e la gentilezza. Cerca di farli sentire importanti in un mondo nel quale la loro condizione cancella le loro identità.
Prende per mano Karina, una bambina tutta occhi, con due dentoni alla Pippi Calzelunghe, dei capelli neri raccolti pieni di pidocchi. Tenta di parlare con lei, le spiega le cose. Karina in qualche modo le mostra il luogo dove vive, portandola in giro per il parco e facendole vedere le varie statue.
Entriamo nello stupa. Uno stanzone con un’enorme statua dorata di Buddha sdraiato sul fianco sinistro che lo rappresenta nel raggiungimento del Nirvana.
Una persona recita un mantra girando intorno alla statua, in senso orario, altre recitano preghiere e lasciano offerte. Noi doniamo i fiori acquistati fuori dal parco.
Karina ci sta aspettando fuori dal tempio dove non le è permesso entrare con un sorriso che farebbe sciogliere anche i cuori più duri. Micky le sistema i capelli decorandoli con una rosa e facendole vedere quanto è bella.
La maschera che Karina è costretta ad indossare per massimizzare il profitto del business delle elemosina è caduta. Ora è una bambina, considerata e felice, anche se per pochi minuti. Intanto dai cespugli intorno escono tutte le simpatiche canaglie. Una foto tutti insieme e poi il trenino. Uno di loro prova a fare il duro facendo capire che non è roba per lui. Lo prendo per mano, mi sorrride; lo abbraccio, mi afferra e mi stringe il braccio per non farsi più lasciare. È dura ora andare via.
Salutiamo e abbracciamo uno ad uno tutti i bambini che ci scortano fino all’uscita. Con un po’ di magone ed il volti di quei bambini stampati nella testa prendiamo le bici per torniare in hotel. Il tempo di caricarle e partiamo.
Ci fermiamo sul lato della strada davanti ad una collinetta di mattoni; sono i resti di un antico Stupa sorto sul luogo dove venne allestita la pira per la cremazione di Buddha. Una gita scolastica fa la fila per entrare, mentre dall’altra parte della strada cerca la posizione migliore un carretto con su scritto “clean street food’, che qui in India è un ossimoro.
Ci mettiamo in sella per coprire i trentacinque chilometri che ci porteranno nella città di Deoria, tra selfie, video e foto. La strada, a parte lo smog e il solito traffico disordinato, è buona. Qualche mucca nel mezzo alla carreggiata e qualche scimmia sul bordo ci accompagna.
Ci fermiamo in un villaggio per mangiare qualcosa. Un po’ di frutta per me e Micky, Samosa per Niccolò e arachidi per Michelangelo, il più schizzinoso e difficile del gruppo.
Intanto Micky entra in una specie di gioielleria per comprare un nuovo orecchino per il naso, mentre Niccolò decide di far volare il drone. In breve tempo una folla di persone lo circonda per vedere il drone e il piccolo villaggio dall’alto.
Poi è tutta una tirata fino a Deoria. Qui le baracche di fortuna o le persone che dormono per strada sono in numero decisamente maggiore; anche le abitazioni sono più fatiscenti del solito.
Raggiungiamo l’unico hotel della città che siamo riusciti a trovare. La struttura è decente e le camere sarebbero decisamente belle se non fosse che sono tanto sporche. Non abbiamo alternative. Una camera con salottino e ufficio e una suite a circa sessantasette euro complessive. Il proprietario ha insistito tanto sul fatto che fossimo sicuri di poterci permettere due camere di quel genere. La camera grande ha due lati a vetri che danno su una grande vasca di acqua putrida e coperta di scarti. Intorno a questa vasca bambini che giocano nei rifiuti.
Usciamo per visitare il centro e ci fermiamo a guardare una partita di cricket tra ragazzini sui bordi della vasca d’acqua. Come campetto non è un granché. La pallina quasi ad ogni tiro finisce nell’acqua.
Dobbiamo trovare uno shampoo per i pidocchi in modo da poter stare ed abbracciare i famosi “intoccabili” senza prendere i fastidiosi parassiti. Dopo aver girato qualche farmacia riusciamo nell’intento. Le farmacie non vendono scatole di medicinali, ma pastiglie o bustine singole, che prendono dalle confezioni.
Dopo uno spuntino a base di roll con frittata e verdure andiamo al mercato. È caotico, ma bellissimo con gli odori e i colori delle merci e delle persone. Essendo gli indiani principalmente vegetarian si vende verdura. Di tutti i tipi. Le facce, i vestiti e i gesti, sono meravigliosi e raccontano bene questo mondo qua.
È buio. Una doccia in hotel per levarci la polvere di dosso e rilassarci prima di cena. La vetrata della camera si affaccia su una baracca composta da due pali e un telo, poggiato su un muro nella quale vive una famiglia con almeno due bambini piccoli. Il senso di disagio è enorme. Ci sentiamo come ricconi che guardano i poveri dalla loro torre di avorio. Non è giusto. Micky Niccolò ed io scendiamo mentre Michelangelo rimane a fare i compiti in camera.
Torniamo dove abbiamo comprato gli ottimi roll con la frittata e la verdura. Ne prendiamo dieci accompagnati da altrettante seven-up e cioccolate.
Andiamo di fronte alla baracca. Il babbo e la mamma escono subito. Gli porgiamo le buste, e li ringraziamo prima di tornare in camera. Loro accettano il mangiare con un sorriso e tanta dignità. Ci stringiamo le mani e ci salutiamo. Non cambiamo le situazioni e non ci potremmo mai riuscire, ma non riusciamo nemmeno a rimanere indifferenti.
Recuperiamo Michelangelo e scendiamo nella sala ristorante. Insieme a noi i festeggiamenti per il compleanno di una dodicenne. Sono tutti eleganti. Le donne indossano il sari, un abito tradizionale antichissimo. Noi ordiniamo i nostri piatti mentre osserviamo come si svolge la festa. Ordinare le portate è sempre complicato. Tutto è piccantissimo e si rischia di non riuscire a mangiarlo. Chiediamo quali sono i piatti “no spicy”, ne scegliamo uno e puntualmente per noi è piccante. Non immaginiamo quelli “spicy” come possano essere.
Andiamo a letto. Domani alle 9 ci attende l’ultimo trasferimento del viaggio. Ci sposteremo a Varanasi, la città sarà per eccellenza degli indù.
Comments
1 commentoMarco
Dic 26, 2023Buon natale belli, anche io in India mi facevo la stessa domanda vostra: ” ma se questo è il non spicy 🔥; il no spicy come è?”
Questa esperienza Ve la porterete dentro sempre un abbraccio Marco Casini