Ci svegliamo di buon’ora nella nostra casetta di mattoni rossi, con gola e naso secchi a causa del riscaldamento a pavimento. Lentissimo a scaldare, finisce sempre per rendere l’aria soffocante. Colazione italianissima a base di latte e cereali prima di metterci in viaggio.
Fuori il termometro segna -3°C, ma ci sembra quasi una mattinata mite dopo i giorni di gelo intenso che abbiamo affrontato di recente. Pedaliamo su stradine secondarie in mezzo alla campagna, incrociando più trafori che automobili. Ma il vento gelido inizia presto a farsi sentire, rendendo più difficile ignorare il freddo.
Siamo ormai a soli due chilometri dal prossimo paese, dove contiamo di fermarci per una merenda, quando Micky si accorge di aver forato la ruota posteriore. Decidiamo di proseguire lo stesso, gonfiando al massimo la ruota e distribuendo i bagagli per alleggerire il peso sulla sua bici.
Arrivati al paese, ci fermiamo in un 7-Eleven. Una pausa rigenerante con cibo caldo ci ricarica, ma la ruota va riparata. Fuori è davvero freddo, e lavorare all’aperto rende le mani doloranti. Sfortunatamente, la camera d’aria di ricambio che abbiamo con noi ha la valvola rotta. Decido quindi di legare la ruota al mio portapacchi e cercare un ciclo-meccanico.
A circa un chilometro e mezzo trovo un’officina che sembra più uno sfasciacarrozze di biciclette. La porta polverosa impedisce quasi di vedere l’interno. Spingendo si apre con un rumore sinistro da episodio di Scooby Doo. Da un cumulo di cianfrusaglie spunta un vecchietto magro ed alto sulla settantacinquina, con capelli nerissimi, una barba di tre giorni e un sorriso storto alla Braccio di Ferro. Gli mostro la ruota, e senza una parola si mette subito al lavoro per terra tra pezzi vari di biciclette sparse ovunque.
Il suo lavoro è impeccabile. Acquisto anche una camera d’aria di scorta e torno da Micky, che rimonta la ruota. Finalmente siamo pronti a ripartire.
Riprendiamo il viaggio, ma le colline della campagna coreana ci mettono alla prova con lunghi saliscendi. Micky, particolarmente affaticata, inizia a lamentare dolore al cuore e sconforto. Decidiamo di fermarci per controllare la sua bici: la ruota posteriore è frenata. La centriamo, la stringiamo, e finalmente torna a scorrere perfettamente.
Ormai è passata da un bel po’ l’ora di pranzo e la fame inizia a farsi sentire. Notiamo un locale dall’aspetto poco invitante ma pieno di gente, e decidiamo di entrare. Una signora gentile, a gesti, cerca di farci sentire a nostro agio. Proviamo a chiedere degli udon caldi. Non sappiamo esattamente cosa abbia capito, ma dopo un po’ arriva con una grande zuppa fumante: frutti di mare, granchi, gamberi e alghe si mescolano in un brodo caldo, con degli spaghetti immersi al centro. Sarà la fame, sarà il freddo che ci ha congelato le guance, ma quella zuppa ci sembra una vera delizia.
Gli ultimi chilometri ci portano a Yeongcheon-si, dove il nostro hotel non permette il check-in prima delle 17. Con due ore libere, decidiamo di esplorare un po’.
Entriamo in un Daiso, una delle catene di negozi più amate in Corea, originaria del Giappone. È un paradiso di oggetti utili, inutili e curiosi, tutto a prezzi incredibilmente bassi (da 50 centesimi a 7 euro). Micky, Niccolò e Michelangelo sembrano non voler più uscire. Facciamo qualche piccolo acquisto, giusto per entrare nello spirito, e finalmente è ora di fare il check-in.
L’hotel si rivela migliore delle aspettative, ma notiamo un dettaglio curioso nell’ascensore: manca il numero 4. In Corea del Sud, infatti, il 4 è considerato sfortunato perché la sua pronuncia (sa) ricorda la parola “morte” (sa) in coreano. A volte viene sostituito dalla lettera F (four), ma qui semplicemente non c’è.
I numeri in Corea sono complicati per chiunque non sia coreano. Esistono due sistemi: i numeri sino-coreani, derivati dal cinese, usati per cose formali (numeri di telefono, soldi, indirizzi, ecc.), dove il 4 viene evitato per la solita assonanza con la parola “morte”. Poi ci sono i numeri nativi coreani, usati per età, ore e cose informali. Troppo semplice un solo sistema per contare 😅
Dopo una doccia e un po’ di relax, usciamo per cena. La scelta è ovvia: il celebre pollo fritto coreano (치킨, chikin), un piatto simbolo della cultura culinaria locale. Diverso dal pollo fritto occidentale, si distingue per la doppia frittura che lo rende incredibilmente croccante e per la varietà di salse che lo accompagnano: dolci, piccanti, salate o al miele.
Entriamo in uno dei tanti locali specializzati e ordiniamo tre varianti: pollo fritto tradizionale, al formaggio e al miele piccante. Tutti deliziosi, anche se l’ultimo risulta un po’ troppo particolare per i nostri gusti.
Prima di rientrare in hotel, facciamo un salto in una pasticceria per acquistare una piccola torta da gustare in camera mentre facciamo la nostra immancabile beauty routine, un rituale di relax per la cura del viso.
Domani ci aspetta la prossima tappa: Gyeongju-si, dove resteremo due giorni per esplorare questa città storica.
Comments
1 commentoFrancesca
Dic 25, 2024Buon Natale!
Alessandro Falleni
Dic 26, 2024Grazie Francesca,
Buon Natale e buon 2025 da tutta la ciurma