Siamo al Golden Baibah, un Riad perso tra le dune di sabbia dell’oceano. Distante da tutto, è un’oasi di tranquillità a metà strada tra Safi e Essaouira.
Ci svegliamo nella Medina di Safi. Un’ottima colazione nella terrazza con vista mare e in sella. La giornata si preannuncia decisamente faticosa. Dovremo percorrere circa 80 chilometri con un dislivello di 700 metri.
Uscendo dalla città ci imbattiamo subito in un’altra grande zona industriale, anch’essa specializzata nella produzione di fertilizzanti.
L’odore diviene subito acre. La strada è bagnata e le ruote delle bici sollevano un liquido giallastro che a contatto con la pelle brucia. La parola d’ordine è: “bocca chiusa e pedale“. Dobbiamo lasciare questa zona il prima possibile.
Sfiliamo accanto ad una grossa centrale elettrica e poi siamo in campagna. La strada piega verso l’interno allontanandoci dall’oceano. Pedaliamo ora su dolci colline brulle; non sembra sia il terreno adatto per coltivare alcunché: il panorama offre solo sporadiche case di pietra poche persone e qualche mulo.
I lunghi saliscendi si fanno sentire sulle gambe, indurite dai giorni in sella.
È quasi ora di pranzo e non abbiamo ancora incontrato alcun paese, mercato, o banco che vende cibo per strada.
Finalmente qualche casa e un bar. Entriamo nel bar affollato di soli uomini, ma sfortunatamente non hanno niente da mangiare. Solo tè e caffè. Di fronte una signora con una piastra riscaldata a carbone. Ha delle uova sode e del pane. Pane con uovo e l’immancabile curcuma più tè alla menta per tutti.
Ripartiamo. In lontananza davanti a noi qualcosa esce dai cespugli polverosi e si sposta pian piano verso il centro della carreggiata. È una tartaruga, e con tutti i camion che passano rischia di non festeggiare il nuovo anno. Ci fermiamo e la riportiamo al sicuro, gesto che ripeteremo altre volte.
Intanto tra salite e fatica arriviamo nei pressi del luogo in cui dormiremo. Una lunga e ripida discesa verso il mare, poi svolta sulla sinistra su di una strada sterrata tra alte dune di sabbia. Pochi chilometri e, come un’oasi nel deserto, appare una bella casetta in pietra. Entriamo. Il giardino in stile giapponese ha aiuole ordinate e verdi. Una fila di bandierine tibetane di preghiera richiamano subito la religione buddhista. Una ragazza con un sorriso storto, ma simpatico ci viene incontro. È subito gentile. Ci conduce alle nostre camere illustrandoci, un po’ in francese, un po a gesti, i servizi del Riad.
Prenotiamo la cena, oltre ad usufruire dell’Hammam. Ad ognuno è distribuito un vasetto di sapone nero marocchino, alla vista una specie di grasso per i motori, e guanto per lo scrub. Entriamo in una saletta calda e umida, completamente rivestita di marmo. Il trattamento consiste nello insaponarsi con questo strano sapone e strofinarci con il guanto. Concludiamo con una doccia utilizzando prodotti a base di olio di argan prima di vestirci ed andare a cena.
Zuppa di legumi per tutti. Polpo alla galiziana per Niccolò; piatto che ha idealizzato dopo averlo mangiato lungo il cammino di Santiago e che per questo ne è rimasto deluso. Cheeseburger per Michelangelo. Omelette berbera per Micky. Tajine di pecora per me.
Poi a letto. Domani ci attende l’ultima giornata sui pedali.