Abbiamo trascorso due giorni nella città che per gli induisti rappresenta luogo più sacro che ci sia sulla terra. Le antiche scritture la proclamano città eterna e della gioia, e anche quando il mondo cadrà e diventerà il Nulla, rimarrà sospesa sul forcone del dio Shiva per farne rinascere uno nuovo.
Ci svegliamo a Deoria di prima mattina. Il mezzo verrà a prenderci alle 9. Sotto la nostra finestra, ai bordi della grande vasca di acqua putrida, un bambino sta giocando con i rifiuti, mentre i genitori hanno danno fuoco ad un mucchietto di spazzatura per scaldarsi. Immaginiamo come deve essere dura la notte in quella baracca, a contatto con il terreno, tra rifiuti e topi.
Micky ed io andiamo a comprare un pallone per il bambino, così avrà qualcosa di davvero suo con cui giocare. Glielo consegniamo contestualmente ad un contributo al padre per un paio di giorni senza dover lottare per il cibo.
Intanto arriva il nostro mezzo. Aiuto il ragazzo a caricare le bici sul tetto, mentre Micky accompagna il fratellino del bambino, appena spuntato, a comprare un altro pallone.
Quando la signora della bottega vede chi è il destinatario, il prezzo richiesto diventa sensibilmente maggiore. Per lei è un intoccabile. Un gesto che racconta bene il dramma e l’emarginazione nella quale vivono queste persone.
Salutiamo tutti e partiamo. Duecento chilometri percorsi tranquillamente in 5 ore. La guida degli indiani che è già discutibile nelle città diventa controproducente , rallentando il traffico, nelle strade extraurbane e nelle autostrade. Capita di incontrare un camion, un trattore, una moto o un tuk-tuk che percorre la strada contromano, costringendoci a rallentare o fermarci.
Arriviamo a Varanasi poco dopo le 14. Il pulmino non può arrivare nel centro, pertanto ci lascia a poco più di 3 chilometri dall’hotel fatti in un mega ingorgo spingendo la bici, tra il rumore assordante dei clacson e l’odore dei tubi di scarico.
Arriviamo in albergo. C’è da capire come organizzare le due giornate che trascorreremo a Varanasi. Le cose da fare e da vedere sono numerose, ma ci viene in aiuto un cartello appeso in hotel che pubblicizza un giro in barca sul Gange, che era già nei nostri piani. Per 25 euro prendiamo una barca tutta per noi.
Arriva la persona che ci porterà in giro. Un ragazzo sui trentacinque anni con i capelli nerissimi ed una una leggera lisca nel parlare. Ci conduce a passo svelto fino alla riva del Gange, tra una folla di persone inimmaginabile.
Arriviamo al grande fiume sacro; scendiamo il ghat per arrivare alla barca. I ghat sono le scalinate che conducono alle rive del fiume Gange. Saliamo su un barcone in legno in mezzo alle persone che fanno le abluzioni, e pregano.
Indossiamo il giubbotto di salvataggio e partiamo. Il ragazzo è un tipo loquace che ci racconta i dettagli di ciò che vediamo, anche se, tra l’inglese approssimativo e il difetto di pronuncia non riusciamo a capire proprio tutto.
Davanti a noi si alzano le fiamme di grosse pire; ne contiamo almeno 15. Siamo davanti al ghat di Manikarnika uno dei luoghi di cremazione più antichi e sacri di tutto l’induismo; i fedeli credono che morire ed essere cremati qui porti alla liberazione dal ciclo delle reincarnazioni.
Si potrebbe pensare che assistere alla cremazione di corpi faccia impressione. Invece no. Sembra tutto molto naturale. Le salme arrivano su lettighe di legno avvolti in bende e teli arancioni. A seconda della disponibilità economica del defunto è possibile scegliere il tipo di legno che sarà usato. I familiari assistono in silenzio, senza piangere, e al termine della cremazione, non si volteranno a guardare le ceneri altrimenti intrappolerebbero lo spirito del defunto. Il nostro barcaiolo ci dice che a Manikarnika riescono ad cremare 300 corpi al giorno. 24 ore su 24, 365 giorni l’anno.
Ora scendiamo lungo il fiume. Sfiliamo davanti ai vari templi e ai palazzi di re e maharaja del passato. Siamo in una delle città più antiche del mondo. Proseguiamo fino ad arrivare davanti al Dashashwamedh ghat nel quale si svolge una cerimonia. In pochi minuti siamo circondati a decine e decine di barche; ci ritroviamo incastrati come in un Tetris: una attaccata all’altra.
Quattro bramini, i sacerdoti indù, celebrano la aari, una cerimonia complessa e articolata tra fuoco, canti e gesti rituali. È tutto molto coreografico, tanto che sembra uno spettacolo. Un ragazzo salta di barca in barca con un braciere con una fiamma. Ciascuno passa le mani nella fiamma per poi portarsele alla testa, per tre volte. Noi guardiamo e ripetiamo il rito: non lo capiamo, ma non potrà farci male.
Assistiamo alla lunga cerimonia prima di poterci liberare da quel puzzle di barche. Quando riusciamo a uscirne è già calato il buio. Ci dirigiamo verso la sponda opposta del fiume, in un luogo più tranquillo per liberare le offerte che abbiamo acquistato prima di salire in barca. Una piccola barchetta di foglie e fiori con una candela sopra. Le accendiamo e le posizioniamo sul fiume. L’effetto è emozionante.
Torniamo al ghat dal quale siamo partiti e salutiamo il nostro barcaiolo e ci dirigiamo verso l’hotel facendoci largo tra la folla, i negozi che vendono articoli sacri, stoffe e cibo. Lungo la strada cose che per noi sono inconcepibili, come gli orinatoi fissati ai muri con tanti utilizzatori incuranti del viavai di migliaia di persone.
Prima di andare in hotel sosta da Domino’s pizza per la cena e in una pasticceria per una bella torta. È la vigilia di Natale.
Giunti in camera ceniamo e facciamo l’albero con le canzoni natalizie in sottofondo: chissà se Babbo Natale passerà anche dall’India. Prima di andare a letto il classico dei classici della vigilia di Natale; “Una poltrona per due”.
È il giorno di Natale. Appena svegli scartiamo i regali che un Babbo Natale attento ai nostri spostamenti ci ha portato, mentre mangiamo un mini pandoro e un mini panettone portati dall’Italia per l’occasione. Per quanto lontani da casa cerchiamo di portare con noi un po’ di spirito natalizio.
Ci prepariamo ed usciamo. Tre chilometri a sud del nostro hotel c’è una famosa farmacia ayurvedica, è una medicina non convenzionale nata in India intorno al V secolo a.c. che ha come scopo quello di aiutare le persone malate a curarsi e le persone sane a rimanere in salute e prevenire le patologie.
Questa farmacia dovrebbe fare delle consulenze gratuite alle persone. Per accorciare i tempi di percorrenza prendiamo un tuc-tuc, pittoresco taxi a tre ruote utilizzato prevalentemente nel sud-est asiatico.
Niccolò davanti a fare da navigatore, Micky, Michelangelo ed io dietro. Il conducente si infila in ogni minimo spazio che si crea, mentre procediamo tra sussulti e sballottamenti.
Arriviamo alla farmacia; i farmacisti sono gentili, ma non fanno più consulenza ayurvedica. Pazienza il nostro conducente è ancora fuori con suo tuc-tuc; contrattiamo allora una visita a Sarnat, il luogo in cui il Buddha ha fatto il suo primo sermone.
Risaliamo tutti a bordo, sempre nella solita formazione. In circa un’ora di sballottamenti percorriamo i 12 chilometri che ci separano dal luogo di culto.
Qui, nel 527 a.C., il Buddha iniziò la sua predicazione ed espose ai suoi seguaci i sermoni che contengono il cuore della dottrina buddista. A memoria dell’evento, nel corso dei secoli furono costruiti stupa, monasteri, templi e scuole.
Nello stradello che conduce ai luoghi sacri ci sono varie bancarelle di ambulanti dove comprare cianfrusaglie, frutta o qualche capo di abbigliamento. Anche qui ci sono vari templi donati da nazioni diverse. Noi entriamo nel tempio donato dal Myanmar dove, oltre ad una bella statua dorata di Buddha si trova anche la famosa ruota del Dharma, che secondo tradizione fu la prima realizzata dal Buddha.
Accanto al tempio, lo stupa Dhamek, costruito nel luogo dove Buddha espose il primo sutra ai cinque asceti. E una grossa torre, con un diametro di 30 metri ed un’altezza di 35, e simboleggia la ruota del Dharma, ovvero il ciclo delle reincarnazioni.
Andiamo verso il nostro conducente di tuc-tuc, prendiamo una spremuta di melograno e torniamo verso Varanasi, dove vorremmo visitare il tempio di Shiva.
Camminare in centro a Varanasi non è affatto semplice. La marea umana ti trasporta. Ci fermiamo in un ufficio di cambio. Ci occorrono delle rupie perché i pagamenti con le credito non sono accettati nella maggior parte dei casi.
Un signore distinto e gentile ci fa entrare. Micky prende 250 euro in pezzi da 50. Il signore li prende e chiede se non abbiamo pezzi da 100 o 200 euro. Già la domanda era strana. Quando le banconote tornano in mano di Micky sono scomparse 50 euro. Io e i ragazzi non ci siamo accorti di niente. Micky che sapeva quanto soldi aveva in mano gli dice subito che è un ladro e che gli ha rubato i soldi. Lui nega, ma Micky chiede di andare dietro la scrivania. Il signore acconsente, ma anziché stare fermo inizia a trafficare con i soldi. Allora la cosa è chiara. Micky minaccia di chiamare la polizia ed il signore crolla. Prega di non chiamare la polizia e dice che ci avrebbe rimesso lui i soldi. Ma quando mai. Truffatore smascherato e soldi recuperati.
Ci fermiamo dalla polizia per denunciare la tentata truffa e proseguiamo verso il tempio di Shiva. Una specie di santona ci fa il tilak (o pundra), è un segno religioso indù indossato sulla fronte che cambia a seconda del Dio venerato.
A noi vengono tracciate tre linee orizzontali nella fronte (Tripundra), con il tridente di Shiva stampato sopra con una polverina rossa.
Arriviamo al tempio di Shiva, compriamo le offerte per il Dio e andiamo alla biglietteria per comprare l’accesso al tempio. Purtroppo le file non sono esattamente british, e anche se da italiani siamo piuttosto indisciplinati, così si esagera. Rimaniamo in fila per un po’ senza successo, poi rinunciamo.
Torniamo allora lungo le rive del Gange per cercare di salvare quante più persone possibile. Ci sono diversi rituali legati al Gange e alle sue proprietà purificatrici.
- Vedere il Gange dona conoscenza, prosperità, prestigio, lunga vita e toglie le tendenze malvagie.
- Fare il bagno nel Gange purifica 7 generazioni passate e future.
- Bere il Gange purifica chi lo fa e migliaia della propria famiglia.
Per non rischiare malanni fisici abbiamo escluso di bere l’acqua, e anche di immergerci completamente non ne abbiamo intenzione. Decidiamo per immergere i piedi nell’acqua e, come fa una signora accanto a noi, prendere l’acqua per tre volte e portarsela alla testa. Ora siamo purificati, ed abbiamo purificato qualche generazione.
Torniamo verso l’hotel fermandoci, dopo pellegrinaggio di decine di negozi riusciamo a trovare e a comprare una piccola statuina di Ganesh da tenere nella bici. Ganesh è il Dio dalla testa di elefante. Per gli induisti è colui che rimuove gli ostacoli e il protettore dei viaggiatori. È a Ganesh che chiede protezione e aiuto per superare le difficoltà sul proprio cammino.
Ormai è tardi. Lungo strada troviamo il tempo per un ultimo giro di foto con un gruppo di ragazzi indiani particolarmente esaltati dall’incontro. Le ragazze si agitano quasi fino a piangere; noi non ci sottraiamo anche se la cosa ci stupisce sempre di più. Compriamo un’altra bella torta e della belle pizze da Domino’s. Domani lasceremo Varanasi e lo stato dell’Uttar Pradesh per entrare in nello stato del Bihar.