Day1
Dopo essere andati a letto all’una di notte ci svegliamo, senza particolari motivi, tutti alle cinque del mattino.
La prima giornata trascorsa in territorio americano è stata piuttosto tranquilla. Dovevamo smaltire le oltre ventisette ore trascorse senza dormire.
Fuori è sempre buio e le strade sono deserte. Io e Micky ne approfittiamo per lavorare un po’, il bimbi leggono e giocano al cellulare.
Alle sette finalmente possiamo andare a fare colazione. Di fronte al motel c’è Dunkin’ Donuts, la catena di donut più famosa d’America.
Il donut è la classica frittella americana, che può essere a forma di ciambella, come appunto le nostre ciambelle o farcita, come i nostri bomboloni. Homer Simpson ne è un grande consumatore.
Iniziamo quindi la giornata con una colazione ipercalorica. Scegliamo sei donut ricoperti da glasse differenti che ci vengono messi in una scatola. Ci sediamo e ci gustiamo le ciambelle accompagnandole con del caffè americano, delle cioccolate calde e un cappuccino americano.
Un salto in camera a prendere i bagagli e saliamo nel nostro enorme fuoristrada per andare verso il centro di Boston.
La strada è piuttosto trafficata, ma fortunatamente scorre; la radio sintonizzata su una orrenda stazione che trasmette musica country rende l’atmosfera più americana. All’orizzonte iniziano ad apparire i primi grattacieli. Usciamo dalla highway e ci dirigiamo verso il centro. Attraversiamo il classico meraviglioso sobborgo americano con casette circondate da un piccolo giardino curato e addobbato per le feste natalizie.
La prima tappa è la prestigiosa Università di Harvard la più antica degli Stati Uniti. È situata a Cambridge, un comune dell’area metropolitana di Boston. Qui hanno studiato tra gli altri Kennedy, Roosevelt, Obama, Bill Gates e Mark Zuckerberg.
Il college è composto da una serie di edifici disposti in un parco pulito e ordinato, con alberi secolari e scoiattoli che scorrazzano da una parte all’altra. Il parco ospita la statua in bronzo di John Harvard, chiamata dagli studenti la statua delle tre bugie, in quanto quello rappresentato non è John Harvard, ma un modello prestatosi per l’occasione, inoltre a differenza di ciò che è riportato sulla targa, l’università non è stata fondata nel 1636, ma nel 1638 e John Harvard non me è stato il fondatore, ma colui che finanziò l’università con soldi e libri.
Un viavai di studenti, che sembrano essere piuttosto di fretta, attraversano il parco da una parte all’altra.
Ci fermiamo al negozio di Harvard per comprare una felpa a Dudu con lo stemma dell’Università, dopodiché in un centro T-Mobile per comprare una scheda dati per Micky che utilizza per emergenze lavorative.
È quasi ora di pranzo e anche l’ora di riconsegnare il nostro fuoristrada. Ci fermiamo alla famosa catena di pizzeria Domino’s Pizza. Abbiamo più volte mangiato la pepperoni pizza di Domino’s: in California, a Mosca, in Nuova Zelanda e persino a Milano. Ovviamente è diversa dalla nostra pizza napoletana o romana, ma a nostro gusto è buonissima.
Pepperoni pizza per tutti e poi a scaricare le bici e bagagli in hotel.
La mia bici è la prima ad essere montata con un lavoro di squadra degno della scuderia di Maranello. La ricarico in auto e vado in centro a consegnare il fuoristrada.
Ora posso godermi i primi dieci chilometri di bici a Boston. La bicicletta qui è un mezzo di trasporto abbastanza utilizzato e ogni strada ha una corsia per le biciclette delimitata da una linea bianca.
Finalmente siamo tutti nella nostra stanza di hotel, bici comprese. Una doccia e siamo pronti. Sono le quattro del pomeriggio, ma abbiamo dormito poco e siamo stanchissimi. Rimandiamo il centro di Boston a domani e andiamo a curiosare e comprare cena al supermercato di fronte all’hotel.
Girare tra le corsie tra salse, cibi ipercalorici e confezioni formato gigante ci piace tanto quanto guardare i carrelli delle persone carichi di spese per noi assolutamente improbabili.
Alle 17:30 siamo già di ritorno con una confezione di pollo fritto, un pollo al miele e due confezioni di insalata.
Una cena veloce e prima delle sette siamo a letto per recuperare le ore di sonno perse.
Day2
Ci svegliamo alle sei per la nostra ultima giornata a Boston. Undici ore di dormita profonda ci hanno rimesso al mondo.
Alle sei e mezzo siamo già a godere di una abbondante colazione a base di uova, waffle con sciroppo d’acero, yogurt e frutta. Fuori piove, ma le previsioni dicono che a breve smetterà.
Ci prepariamo ed usciamo. Intanto ha smesso di piovere; le previsioni ci hanno azzeccato. La prima tappa è il MIT, Massachusetts Instutute of Technology, sempre nel comune di Cambridge, l’altra eccellenza dell’istruzione di Boston e degli Stati Uniti. Li incontreremo Diego, un amico e compagno di università a Pisa che vive a Boston e che ha svolto un master proprio al MIT. Sono almeno quindici anni che non ci vediamo, ma sembra ieri. Diego ci fa da Cicerone per la visita all’istituto, anche se quando tentiamo di entrate scopriamo subito una brutta sorpresa. A causa delle restrizioni per il COVID non possiamo entrare, ma dovremo accontentarci di vederlo dall’esterno. Fortunatamente la nostra preparatissima guida ci descrive perfettamente le opere d’arte che ornano il parco, gli edifici e le goliardate degli studenti, alcune decisamente folli e pericolose. Un edificio del MIT è il grattacielo più alto di Cambridge. La facciata è caratterizzata da due feritori e che corrono fino alla sommità. Gli studenti, poggiati con la schiena su un lato e i piedi puntati sull’altro lato salgono fino alla cima del grattacielo.
I palazzi vicino al MIT sono quelli di Google, Amazon e altri colossi dell’IT. Ci soffermiamo al negozio del MIT per comprare la felpa a Dudu.
Prima di tornare verso le biciclette ci soffermiamo sul ponte che attraversa il Charles river, il fiume che separa Boston da Cambridge. Per terra è riportata con la vernice una scritta: 364,4 +/- un orecchio Smoot. Essa rappresenta la lunghezza del ponte espressa nell’unita di misura Smoot, una unità di misura creata durante una goliardata dei membri della confraternita Lambda Chi Alpha nel 1958. Il povero Oliver Smoot, uno dei più bassi della confraternita e con il cognome che suonava come un unità di misura venne ripetutamente fatto sdraiare sul ponte al fine di misurare quanti Smoot fosse lungo. 364.4 Smoot +/- un orecchio, dove il +/- rappresenta epsilon, cioè l’errore di misura introdotto. L’aneddoto ci è piaciuto particolarmente.
Salutiamo Diego sperando di rivederci presto e ci dedichiamo alla visita di Boston. Essa comprende, il Freedom Trail, un percorso di quattro chilometri traccciato con dei mattoncini rossi che ripercorre i luoghi simbolo della storia americana, con particolari riferimento al Tea Party, una protesta politica che ha portato alla guerra di secessione e alla guerra stessa. Visitiamo il cimitero storico dove sono sepolte le persone morte in quelle prime fondamentali battaglie, Charlestown, un quartiere storico e suggestivo con case tutte in mattoni con il tetto in legno.
Si è fatta ora di pranzo e siamo affamati. Decidiamo di andare a pranzare al Quincy market, un vecchio mercato di produzione e vendita di generi alimentari che oggi ospita numerosi negozi di cibo da asporto di tutti i tipi.
Io ho le idee chiare su cosa mangiare. La Clam Chowder del New England, una delle più famose zuppe americane. È una zuppa di vongole con pancetta, patate e panna, che le dona una cremosità incredibile; è servita dentro una pagnotta di pane.
Me l’ha fatta conoscere Federico, un caro amico di Roma, ed ero ansioso di assaggiare l’originale.
Io Dudu e Micky prendiamo la Clam Chowder, il Miche, di gusti un po’ difficili, un hamburger con patatine. La zuppa è sublime e tutti e tre ne rimaniamo estasiati.
Usciamo dal mercato e ci fermiamo in un negozio che vende solo palline di Natale. Dentro si torna bambini. Vorremmo una pallina di ogni tipo, ma finiamo per regalarci la pallina di Natale del viaggio, come da tradizione.
Ultima tappa della giornata è Bacon hill una delle zone più pittoresche della città, con strade ripide fiancheggiate da case a schiera in mattoni in stile vittoriano illuminate da lanterne antiche; alcune ancora a gas. I giornali fuori delle porte, le finestre con le inglesine ci trasportano nella Londra dell’800.
Ormai è buio. Non ci resta che tornare verso il nostro hotel. Passiamo da alcuni parchi, tra cui il Boston Common, il parco pubblico più antico degli Stati Uniti. Gli alberi coperti di lucine di Natale rendono l’atmosfera più magica.
Percorriamo i dieci chilometri che ci separano dall’hotel. Una veloce spesa al supermercato per una cena preparata al microonde e a letto.
Da domani si pedala seriamente.