Bharatpur una città con meno di 400.000 abitanti e un caos che non ha nulla da invidiare a Bogotà. Turisti, almeno occidentali non se ne vedono in giro. Anche solo camminando per strada gli occhi sono tutti puntati su di noi. Degli stranieri in città sono una cosa strana: c’è chi saluta chi ci chiede da dove veniamo chi ancora vuole attaccare con qualche discorso con le poche parole di inglese conosciute.
Dopo una colazione servita al buffet nella quale abbiamo assaggiato praticamente tutto siamo pronti per pedalare. Ci aspettano 50 chilometri con una altimetria piuttosto impegnativa.
Fortunatamente la strada è migliore rispetto ai giorni scorsi ad accezione di alcuni brevi tratti di sterrato. Un susseguirsi di lunghe salite seguite da altrettante discese ci accompagnerà per quasi tutto il giorno.
Lungo la strada le costruzioni sono poco più che baracche di latta con un aia di fronte che da sulla strada. Tra pneumatici usati, qualche cianfrusaglia sparsa insieme alle galline, qualche capra e qualche cane giocano i bambini e si svolgono mestieri e attività di casa.
Non essendoci una ferrovia il trasporto è tutto su gomma, pertanto il traffico di mezzi pesanti è intenso. I camion, esclusivamente di marca TATA, un costruttore di auto indiano, sono tutti colorati. Qualcuno ha la cabina disegnata con le raffigurazioni dei principali Dei indù.
Procedendo con calma in fila indiana arriviamo all’ora di pranzo. Ci fermiamo in uno spiazzo polveroso che ha un’insegna con su scritto restaurant. Ad accoglierci una signora che parla esclusivamente nepalese. Sotto una tettoia di lamiera la cucina improvvisata. Un paio di fuochi, qualche pentola che ha vissuto giornate migliori, un’infinità di ciotole e ciotoline con dentro spezie e polverine.
Chiediamo delle frittate di uovo, uno dei cibi del viaggiatore per eccellenza, insieme alla banana.
Mentre la signora traffica tra fornelli ci godiamo la sosta in questo angolo di mondo così diverso.
Un piccolo spazio abitato da due famiglie. Una ha un bambino piccolo ed un ragazzo dall’apparente età di Niccolò. Il bambino gioca con le ruote delle nostre biciclette e si aggira incuriosito, l’altro si lava con l’acqua che scende dalla montagna e si prepara.
Intanto le nostre frittate sono pronte: piccantissime. La signora chiede se vogliamo del riso, o almeno questo è quello che riusciamo a capire, cosi dopo poco ci ritroviamo con quattro thali, Il solito grande piatto in metallo con tante piccole ciotole con varie pietanze. C’è stato un evidente errore di comunicazione.
Intanto un paio di cani si mettono accanto a noi, un gattino minuscolo miagola reclamando del cibo e delle galline razzolano tra i nostri piedi.
Quello che si percepisce è la tranquillità del luogo e delle persone al di là delle condizioni di vita.
Intanto per ogni ciotolina che svuotiamo la signora passa con un vassoio a chiederci se vogliamo che sia di nuovo riempita. Il thali funziona così.
Finiamo di mangiare, rimaniamo un po’ a goderci questo squarcio di vita prima di ripartire.
Qualche chilometro e incontriamo un ponte tibetano che attraversa il Trishuli. L’occasione è troppo ghiotta per non essere sfruttata. Lasciamo le bici e attraversiamo il ponte fino ad arrivare al centro della valle. Il vento che scende lungo la valle fa oscillare il ponte e sventolare le bandierine ad esso fissate, spargendo le preghiere che contengono.
Qualche foto e ripartiamo. Ormai mancano meno di venti chilometri.
Arriviamo in una piccola città. Tra mercati e templi indù prendiamo il bivio sulla sinistra. Lasciamo la valle di Katmandu e il corso del Trishuli per scendere verso una pianura. Per la prima volta non pedaliamo circondati dalle montagne.
Attraversiamo la periferia di Bharatpur. Povera. Poverissima. Accanto a case decadenti in cemento e mattoni sorgono baracche in latta e legno.
Arriviamo nei pressi del nostro hotel, vicino all’aeroporto. Tutta la zona è un cantiere aperto. Il passaggio di mezzi su strade parzialmente sterrate crea una grande nuvola di polvere.
Prendiamo possesso della camera. Decisamente brutta e piena di zanzare, ma dopo una bonifica dei fastidiosi e potenzialmente pericolosi insetti può andare bene.
Un giro nei dintorni che, a parte la confusione, è piuttosto anonimo, una cena con il solito cibo in hotel e poi a letto.
Domani andremo nel primo dei quattro luoghi sacri del buddismo. Il luogo dove è nato Buddha.