Sono le sette di mattina. I bagagli sono pronti e le bici caricate. Noi siamo già vestiti. Aspettiamo dentro la tenda che la pioggia cali un pochino prima di metterci in sella. Parliamo di ieri, la nostra prima giornata sui pedali in Nuova Zelanda.
La sveglia nella nostra cabin di Nelson è naturale. Alle sei iniziamo, uno ad uno, a svegliarci. Abbiamo dormito ininterrottamente per nove ore e abbiamo speranze di aver assimilato le 12 ore di fuso orario.
Dopo una abbondante colazione a base di toast e latte, ci prepariamo con calma. La giornata è limpida e un sole dalla luce decisamente biancastra e luminosa splende in cielo.
Alle nove siamo in sella. Seguiamo una pista ciclabile che attraversa tutta Nelson. Ci fermiamo a fare una scorta di cibo per pranzo, cena e colazione, visto che ci inoltreremo tra le verdi colline dell’interno, dove non incontreremo negozi o centri abitati.
Ben riforniti riprendiamo una ciclabile che costeggia il mare. Dall’altro lato casette basse con delle enormi vetrate vista mare e nessuna recinzione. Qui la sicurezza non sembra essere un problema.
Incontriamo il primo vero nemico della Nuova Zelanda. Il vento. Un forte vento che ci soffia in faccia rende infatti complicato il nostro avanzare fino a quando, pieghiamo verso l’interno dell’isola.
Ora siamo immersi tra prati, boschi e pascoli con le montagne innevate sullo sfondo. Un panorama che ricorda il nostro Alto Adige.
Ci fermiamo ad un allevamento di animali sicuramente non comuni da queste parti. Non sappiamo se si tratti di lama o alpaca, ma sono carini. Il Miche il più entusiasta del fortunato incontro.
È ora di pranzo, ci fermiamo ad un tennis club chiuso dove ci sono delle panchine.
Tonno, fagioli e frutta ci restituiscono le forze. Una coppia con dei bambini entra nei campi. La bambina scorrazza con il monopattino, il bambino rincorre una pallina con la sua raccheta nuova.
Il babbo si avvicina per fare conversazione. Venti anni fa ha fatto lo stesso giro in bicicletta che vogliamo fare noi. È prodigo di consigli e raccomandazioni. Poi si sofferma parlare dell’Italia di cui ha una immagine di insicurezza. Racconta di essere stato in Germania l’anno prima e di essere rimasto “disgustato” dalle persone turche e di colore in giro, rassicurandoci che in Nuova Zelanda non ne troveremo. Io e Micky ci guardiamo; la conversazione non ci piace più. Non siamo venuti dall’altra parte del mondo per parlare con un razzista.
Tagliamo corto e ci rimettiamo in sella. Allontanandoci il tizio ci saluta come i suoi migliori amici, forse non avendo compreso il nostro disappunto.
Ora ci attendono undici interminabili chilometri di salita continua, a tratti ripidissima.
Procediamo un po’ sui pedali e un po’ a spinta. Vuoi il fuso orario, vuoi che è il primo giorno sui pedali, le nostre gambine devono ancora prendere il ritmo, ma è dura.
Ci vogliono oltre due ore per arrivare in cima, dove incontriamo due cicloturisti che stanno andando verso Nelson. Morti di fatica anche loro ci confortiamo a vicenda, visto che entrambi siamo attesi da una premiante discesa.
Ormai è tardi. Sono quasi le sette di sera e dobbiamo trovare un posto per dormire. Siamo circondati da bellissimi prati, quindi un posto vale l’altro. L’unica cosa che ci preoccupa è il fatto di non avere campo. Per qualsiasi necessità siamo isolati. Proseguiamo per un altro pezzo in cerca di almeno una tacca di segnale, ma niente.
Michelangelo è al limite, quindi dobbiamo fermarci.
Piantiamo la tenda su un lato della strada dietro un cespuglio. Dall’altra parte uno strapiombo di quattro o cinque metri con un fiumiciattolo ed una cascatella.
Non ci resta che preparare la cena. È prevista una minestrina calda e delle uova.
Cerchiamo l’accendino per accendere il fuoco, ma non si trova. Due ce li hanno sequestrati a Canton, e il terzo che eravamo sicuri di avere è perso.
Dopo un attimo di panico ci ricordiamo del coltellino che Marco, il nostro amico esperto di sopravvivenza, ci ha regalato. Contiene un acciarino, una piccola barra di metallo che se strofinata con il coltello produce delle scintille.
Fa un po’ “Nudi e Crudi”, ma è l’unica speranza di mangiare qualcosa di caldo.
Intanto fuori inizia a piovere.
All’interno della tenda siamo già perfettamente organizzati. Dopo veri tentativi sia miei che di Micky, lei riesce ad accendere il fuoco con pagliuzza e fazzoletto di carta. Meravigliati e felici come quattro Neanderthal per la scoperta del fuoco, accendiamo subito una candela che ci servirà per accendere il fornellino.
Dopo una cena calda e abbondante andiamo a letto alle otto e mezzo, distrutti e sotto un diluvio biblico. Speriamo che domani il tempo sia migliore.