Mancano ormai pochi giorni al nostro arrivo nella nella piazza rossa. La Russia più selvaggia ce la siamo lasciati alle spalle, tanto che sembra di essere in un’altra nazione e in un altro viaggio. È cambiato il paesaggio, sono cambiate le persone, è cambiato persino il modo di vestire.
Ci svegliamo in hotel belli riposati. Ritiriamo i vestiti puliti, ma non completamente asciutti, e facciamo colazione. Anche oggi dovremo pedalare per circa settanta chilometri.
Lungo la strada, di fronte alle case, banchetti di frutta e verdura. La maggior parte in vendita a due soldi, con bambini o anziani ad aspettare i clienti, qualcuno a offerta libera o gratuito. Per lo più sono mele, di cui ogni casa ha alberi colmi, poi zucche e cetrioli.
Ci fermiamo ad una chiesa ortodossa. Entriamo prima io il Miche e Dudu, mentre Micky guarda le biciclette e scatta qualche foto. All’ingresso ci viene in contro una signora, Nina, che ci saluta cordialmente. Ci chiede da dove veniamo, se siamo cristiani; dopo di che ci invita ad entrare.
Nina mi fa cenno di aspettare, mentre da un cassetto tira fuori dei grandi parei scuri. Penso che in pantaloncini corti e in maglietta non si possa entrare. Intanto Nina porge due parei a Dudu e al Miche spiegandogli come metterli. Uno per le gambe e……. aspetta, cosa c’entra il pareo in testa? È sicuro che non li abbia scambiati per due bambine, visto i capelli lunghi. Micky che ci guarda da fuori e vede tutta la scena intanto muore dalle risate. Spiego a Nina che sono due maschi, sorride, si scusa e ci accompagna dentro. Tenta di farci da guida in russo, noi ci sforziamo di capire, ma capiamo solo Gesù Cristo e Maria, quando ne indica le figure in due quadri.
La vera guida è Dudu. Avendo studiato giusto lo scorso anno le varie chiese, tra cui quella ortodossa, ci spiega tutta la simbologia, con tanto di dettaglio sui nomi. Bravo Dudu.
Poi è la volta di Micky, che, coperta con due parei neri, visita la chiesa, sempre con la guida Dudu.
Usciamo dalla chiesa. Li vicino un pozzo, come ne vediamo tanti lungo il percorso. Sono una specie di casine gialle in legno con una carrucola e un secchio. Approfittiamo per riempire le borracce, prima di rimetterci in strada ad affrontare i soliti lungi, noiosi, faticosi, saliscendi.
I monumenti in ricordo del secondo conflitto mondiale sono numerosi. Si vedono carri armati, elmetti, mitragliatrici ben conservati che ricordano la resistenza russa, piuttosto che i caduti.
Ci salutiamo con un ragazzo, che pedala in direzione opposta alla nostra, su una vecchia bici da corsa; indossa un abbigliamento che ricorda i ciclisti dei primi anni ‘70. Proseguiamo verso la foresteria nella quale dormiremo.
Mi sento afferrare la bici da dietro. Mi volto ed ecco Micheal, il ragazzo anni ‘70 incrociato poco prima. Ci mettiamo a parlare. Subito ci invita cena, ma siamo ancora distanti dieci chilometri dal nostro arrivo. Ringraziamo. Mi fa vedere una borraccia dell’Eroica, una corsa con bici e abbigliamento d’epoca che si svolge in ottobre in provincia di Siena. Micheal parteciperà all’edizione 2019. Ci scambiamo i contatti e lo invito da noi quando verrà in Italia.
Prima di andare alla a prendere possesso delle nostre stanze passiamo a fare la spesa per la cena e la colazione.
Arriviamo alla foresteria, una casona in legno che ospita per lo più cacciatori. Non c’è nessuno.
Sentiamo un odore di soffritto di cipolla. Un signore calvo e enorme, vicino ai due quintali, con due minuscoli occhietti azzurri ed una maglietta a righe orizzontali bianche e celesti alla Pablo Picasso ci viene incontro. Non capisce niente di quel che gli vogliamo dire. L’unico suo problema, il più urgente, è quello di non far bruciare il soffritto. Prima di tornare a dedicare attenzione alla sua cena ci dice di aspettare cinque minuti.
Usciamo e ci mettiamo seduti buoni buoni accanto alle biciclette, mente inizia a piovigginare. L’ormone, forse vinto dal senso di colpa, forse certo di aver messo in sicurezza il suo soffritto ci da ascolto. È anche lui un ospite della foresteria, ma ci aiuta chiamando un numero per chiedere cosa fare.
Stanza 6 e stanza 8; le chiavi sono nella porta. Perfetto. Le stanze sono datate, il bagno è piccolo e in comune, ma abbiamo a disposizione una cucina e una sala per cenare, praticamente tutta per noi. Mentre ci sistemiamo viene quello che sembra essere il responsabile. Un signore sulla settantina, con il viso scavato dagli anni e forse da una vita di lavoro. Una folta barba brizzolata e un abbigliamento da cacciatore: pantaloni verde militare, giacca e cappellino con la tesa mimetici e stivali. Mi porge la mano, poi si siede su un divanetto, accanto ad un enorme cinghiale imbalsamato, a guardarci sistemare i bagagli. Dopo un po’ come era arrivato, se ne va.
Doccia e poi cena a base di carne macinata al limone e pomodori. Poi a letto. Domani sarà la vigilia dell’arrivo a Mosca.