Sono le due di notte. Siamo appena arrivati a Matanzas con un taxi che ha percorso più di trecento chilometri tra montagne, paesini sperduti con feste in piazza, molteplici controlli da parte della polizia. A noi che ormai non ci turba piu’ niente ci adattiamo sui sedili o chi come Micky sdraiata direttamente a terra.
Siamo stanchi, dopo una giornata lunghissima, che doveva essere finita da molto tempo, con mille disguidi. Quel che conta, però, è sempre il risultato. Missione compiuta! Siamo tutti a Matanzas con bagagli e biciclette, pronti a immergerci di nuovo nella Cuba dei cubani.
A dire il vero si fa presto ad abituarsi a un villaggio turistico, come quello in cui siamo stati. Un mondo artificiale per chi sta tutto il giorno in piscina, con un bicchiere, sempre pieno di qualche intruglio dal nome esotico, in mano.
La giornata è scandita dagli appuntamenti per il cibo: a buffet o alla carta. E’ tutto incluso. Cibo, bevande, animazione, lettini, pedalò, teli da mare, camerieri che girano per il villaggio, pronti a esaudire ogni desiderio dei clienti.
Noi, immersi in un paesaggio da cartolina, dobbiamo solo prendere il sole in una spiaggia bianchissima, immergerci nelle acque cristalline di un mare bello come non avevamo mai visto, e mangiare. Non male. Non dobbiamo pensare a nulla, sforzarci di comunicare con nessuno, pensare quale strada percorrere, trovare un chioschetto che vende l’acqua perché le borracce sono vuote, trovare e contrattare un posto per dormire.
Il villaggio è distante anni luce dalla Cuba che abbiamo conosciuto in questi giorni. I cubani non vedranno mai spiagge come queste o tutto questo cibo.
A noi è piaciuta più la Cuba conosciuta fino ad ora. E allora, ripartiamo. Chiuderemo il cerchio. Abbiamo lasciato L’Avana pedalando verso ovest, la riabbracceremo entrandoci da est.