Caibarién. Una città fatiscente, forse la più brutta vista fino a ora, anche se, lungo il percorso, siamo passati da zone e paesini certamente più poveri. Eppure in un’altra epoca deve aver vissuto periodi di splendore, testimoniati dalle numerose ville coloniali, dalle facciate imponenti, presenti in città. Ormai sono solo un ricordo sbiadito. E’ rimasta solo una facciata bisognosa di una decisa opera di recupero; per il resto case malridotte, fogne a cielo aperto, strade dissestate.
Oggi tappa intermedia di trasferimento che domani ci porterà a Cayo Santa Maria. Percorsi oltre sessanta chilometri di strada non troppo complicata, anche se, il traffico di mezzi pesanti, classe di inquinamento “euro meno sei”, che ci sfioravano, ha reso la pedalata meno spensierata del solito.
Sveglia prima delle sette, colazione, carico delle bici e in piazza. C’è da collegarsi velocemente ad internet e comprare dell’acqua, qui preziosissima; è la prima volta, durante le nostre avventure in bici, che l’accesso all’acqua potabile risulta così complicato.
Visita al mausoleo dove è sepolto il Che. Una mega lapide che rende omaggio al Che come comandante e combattente. Dopo, non occorre fare più deviazioni, visto che la piazza con la ruspa utilizzata dal Che, Fidel e Cienfuegos per deragliare il treno, è sulla strada che da Santa Clara ci porta a Caibarién. La piazza si trova poco prima di uscire dalla città; in mostra tre vagoni del treno deragliato e la ruspa.
Poi diretti versi Caibarién, poche soste, se non per mangiare e per comprare un ananas (piña, altrimenti non capiscono) e delle banane.
IL tempo di vedere il primo treno di Cuba, a vapore, che arriviamo a Caibarién e solita ricerca di un posto per dormire. Quasi tutto pieno a causa di una festa in un paese vicino, Remedios, ma tramite passaparola l’abbiamo trovata in breve tempo. Cinquanta CUC dormire, colazione e cena.
Giro in centro per fare scorta di provviste e di liquidi per domani; ci aspettano sessanta chilometri in una lingua di terra che collega la terra ferma al Cayo senza incontrare un paese.
Come al solito quasi tutte le persone sono gentili. L’unico panificio aperto mi ha detto che non aveva la possibilità di vendermi del pane. E’ riservato alle persone che si presentano con il libretto che da loro diritto alla razione di pane. Non ho insistito, ho ringraziato e mi sono girato per andare via. La signora mi ha chiamato e mi ha insistito affinché prendessi sei panini, non volendo in nessun modo essere pagata. Ho ringraziato sentitamente, riflettendo una volta di più della sacralità del cibo e sullo spreco che avviene nel mondo da cui provengo.
Domani il Cayo ci attende.
Comments
1 commentoGiovannella
Gen 4, 2017Dalle tue parole traspare tristezza e quello che racconti fa riflettere.La foto,poi,di quel bambino dietro la colonna è emblematica….