Siamo in piedi davanti all’albero di Bodhi, sotto il quale, durante la meditazione, il principe Siddhartha Guatama raggiunse l’illuminazione e divenne il Buddha. È luogo sacro più venerato nel buddismo e la fine del nostro Buddha Trail; un viaggio duro ed emozionante, crudo e spirituale.
Un tuffo in una realtà lontana da noi troppo spesso dimenticata, che strazia il cuore. L’India è un paese immenso con una cultura millenaria e con molte, troppe contraddizioni, che sta facendo molto per migliorare la situazione di molte persone . Secondo un rapporto delle Nazioni Unite del 2023, in India negli ultimi 15 anni, 415 milioni di persone sono uscite dalla povertà. Un lavoro eccellente, eppure viaggiando per il paese si può vedere quanto ci sia ancora da fare.
Ci svegliamo nell’hotel di Gaya; Micky e Niccolò hanno passato una notte difficile tra febbre e virus gastrointestinale. Sono due stracci. Dobbiamo pedalare soltanto 12 chilometri per arrivare Bodh Gaya, ma per loro è una tappa del giro d’Italia che completiamo in poco più di un’ora.
Pedalare a Bodh Gaya è impressionante; in questi giorni un evento religioso al quale partecipa il Dalai Lama richiama monaci buddhisti da tutto il mondo. Ci muoviamo costantemente tra un fiume di religiosi avvolti nel loro kesa colorato che si spostano a passo svelto in ogni direzione e bancarelle che vendono oggetti sacri.
Proviamo ad andare subito in hotel anche se potremo fare il check-in soltanto alle 14. Sono appena le 11:40 quando arriviamo. Un signore in divisa militare, alto con i baffetti ci apre il cancello salutandoci con un bel sorriso e ci accompagna dove possiamo lasciare le bici.
Al check-in veniamo accolti dal direttore e dal proprietario dell’hotel, che dopo aver visto le biciclette ci effettuano l’upgrade gratuito della camera e ci offrono il pranzo. Come accoglienza non possiamo lamentarci.
Pranziamo e usciamo per andare nel complesso sacro di Bodhgaya. Dopo depositato smartwatch e telefoni in una cassetta prima dell’ingresso, in quanto proibiti, possiamo accedere. Gli indiani hanno veramente un problema con le file, anche se sono monaci. Spinte, tentativi di passare avanti con qualsiasi scusa, scavalcamento delle barriere; in più di un’occasione perdiamo la pazienza. Una bambina sporca, e claudicante mi si avvicina per chiedere dei soldi, e, anche se so che non è il modo corretto di aiutagli gli metto dei soldi nella piccola ciotola vuota. La bambina tira fuori un busta piuttosto pesante da sotto il vestito e ci rovescia le monete che le ho dato, si gratta il naso e se ne va non mostrando più il difetto nel camminare. Mi sono fatto fregare, ma la cosa peggiore è che ho alimentato il sistema di sfruttamento di questi piccoli innocenti.
Finalmente siamo dentro il luogo sacro. Ovunque risuonano i mantra di preghiera. Chi prega seduto nella posizione del loto, chi parte da una posizione eretta per poi appoggiarsi su una specie di pattine, scivolare in avanti fino ad arrivare sdraiato con la pancia a terra ed allungare le braccia in avanti per poi ricominciare.
Alcuni monaci girano per distribuire libri di preghiera, cibo e tè caldo. Noi ci sediamo con il rosario in mano e seguiamo le preghiere.
All’interno del complesso c’è il Tempio di Mahabodhi che sorge accanto al sacro Sri Maha Bodhi, nato dall’albero di Bodhi, sotto il quale stava meditando il Buddha quando fu colto dall’illuminazione.
Ci togliamo le scarpe e visitiamo in silenzio l’area. Non è possibile soffermarci troppo, seguiamo la fila di persone che camminano pregando fino alla statua dorata di Buddha. L’atmosfera che si respira è intensa e lo spirito di partecipazione e condivisione è forte.
Rimaniamo nel complesso sacro fino a quando non tramonta il sole, poi stanchi della giornata torniamo in hotel. Micky e Niccolò sono ancora a mezzo servizio.
Cena e poi a letto presto. Domani ci sposteremo di pochi chilometri per avvicinarci all’aeroporto. Dovremo impacchettare le biciclette per volare il giorno seguente a Delhi dove trascorreremo un paio di giorni da turisti prima di tornare in Italia.
È l’ultimo giorno dell’anno. Dopo una colazione leggera salutiamo il personale dell’hotel e ci mettiamo in sella. Purtroppo io e Michelangelo iniziamo ad avere i primi segnali di malessere.
Il tragitto è veramente breve. Ci spostiamo di poco più di 5 chilometri in quanto l’hotel che abbiamo lasciato non aveva camere disponibili per oggi. Il nostro viaggio è finito; questa giornata ci serve per preparare le ultime cose e chiudere le biciclette.
Dopo il check-in ci dedichiamo subito alle biciclette, mentre Michelangelo fa i compiti. Poi usciamo dall’hotel. Intorno baracche e povertà, ma sorrisi e tantissimi bambini. Un tuc tuc ci porta nel centro di Bodh Gaya, di nuovo tra i monaci. Passiamo un a paio d’ore a girare senza meta tra il mercatino tibetano e le bancarelle. Veniamo, come al solito, circondati da bambini che chiedono soldi. Niente soldi a nessuno, ma popcorn (aprendo le buste per non farglieli riconsegnare in cambio di soldi), biscotti, patatine e tazze di tè caldo. Così i bambini sono felici. Intanto passa un camion di monaci che distribuiscono cibo.
Per tornare in hotel altro tuc-tuc; sosta in una pasticceria per comprare una torna che mangeremo a mezzanotte e poi in camera.
Non c’è il cenone, ma una cena con cibi diversi da quelli che abbiamo mangiato in questi giorni. In sala anche un gruppo di italiani, i primi che incontriamo nel viaggio. Stanno facendo un tour guidato dell’India.
Torniamo in camera. Io e Michelangelo iniziamo a stare decisamente male. La prima notte dell’anno sarà piuttosto convulsa.