Siamo a Khemisset una piccola città a metà strada tra Meknes e Rabat famosa per i suoi tappeti di fattura berbera. Finalmente siamo in possesso del nostro appartamento nel centro della città dopo più di qualche problema. Ancora una volta abbiamo avuto la conferma che le persone brave e disposte a darti una mano sono più di quelle cattive.
Ci svegliamo nel Riad a Meknes. La stanza semibuia non rende giustizia alla bella giornata di sole che c’è fuori.
Scendiamo per colazione. Omelette, beghrir (pancake marocchini a base di semolino di miele e burro) con miele, nutella o marmellata, caffellatte e una ottima zuppa d’orzo con latte aromatizzata alla cannella e menta. Le colazioni marocchine sono veramente super.
Siamo pronti per caricare le bici e metterci in viaggio. Usciamo dalla Medina e guadagnamo la strada dove, per riscaldarci le gambe, affrontiamo subito una bella salita. Sosta ad un piccolo negozio di alimentari per un po’ di scorta di cibo. Oggi rimarremo tutto il giorno in campagna senza incrociare neanche un villaggio.
Imbocchiamo una strada sterrata che ci condurrà quasi a Khemisset. La campagna marocchina in questa zona è bellissima, se non fosse la sporcizia che c’è sui lati della strada, utilizzati come discarica di qualsiasi cosa. Pedaliamo seguendo una una meravigliosa valle di campi coltivati e uliveti.
Ogni tanto una modesta abitazione di pastori di pecore. I cani quando ci vedono arrivare ci corrono incontro come volessero sbranarci. Cerchiamo di mantenere la calma e continuare a pedalare, ma rischiamo di cadere e soprattutto abbiamo paura di essere morsi.
Michelangelo non appena sente abbaiare un cane va in fuga come fosse Coppi.
Mancano poco più di dieci chilometri alla metà, dei quali cinque sono di una salita piuttosto impegnativa, con tratti del 9% di pendenza. Superiamo piano piano questo ultimo scoglio ed entriamo a Khemisset. In ogni villaggio o città che attraversiamo la prima cosa che vediamo sono i sorrisi dei bambini. Flotte di bambini. Non si può dire che il Marocco abbia il problema della natalità.
Khemisset è un po’ meno moderna e lo si vede già dai mezzi circolanti. Per strada coesistono auto e carrozze, furgoni e asini carichi di merci o carri trainati da cavalli. Siamo in un’altra epoca.
Raggiungiamo l’indirizzo presso il quale dovrebbe trovarsi l’appartamento che abbiamo preso in affitto per questa notte.
Non c’è nessuno ad attenderci. Aspettiamo. Non viene nessuno. Magari abbiamo sbagliato indirizzo. Chiediamo ad un ragazzo. È gentile e disponibile, ma parla solo arabo e la comunicazione è difficile.
Io rimango con Michelangelo a controllare le bici, Micky e Niccolò vanno con questo ragazzo. Non vedendoli tornare inizio a preoccuparmi, ma un gruppo di adolescenti a gesti mi indica dove sono e mi dice che stanno parlando. Tornano dopo una mezz’ora abbondante.
Sembra che abbiamo affittato la casa dal boss locale, un tipo per niente raccomandabile che controlla tutta la città.
Il ragazzo ed un signore anziano discutono telefonicamente, con toni che non sembrano affatto rilassati, col il tizio che non aveva la minima intenzione né di farsi vedere né di darci la casa.
Alla fine la casa era veramente dove io e il Miche stavamo aspettando con le bici.
Il signore anziano ci lascia il proprio numero di telefono nel caso in cui avessimo bisogno di qualcosa o ci fosse qualche problema.
Tutto fila liscio. Niccolò e Micky escono di nuovo per fare una spesa veloce. Cena a base di macinato di tacchino, che è speziato al curry, e insalata. Poi gelato e a letto.
Domani ci aspetta un lungo di quasi cento chilometri per arrivare a Rabat, la più giovane città imperiale nonché capitale del Marocco.