Nelson, Nuova Zelanda. Dopo quarantadue ore di viaggio abbiamo gli occhi allucinati dalla stanchezza. Siamo felici, ma stanchissimi. Siamo dall’altra parte del mondo. Ora non ci resta che smaltire il prima possibile il jet lag e goderci questa nuova avventura.
L’inizio del viaggio, a dire il vero, è stato piuttosto complicato; il rischio di rimanere a terra è stato, come mai prima, concreto.
Arriviamo in aeroporto quattro ore prima della partenza. Ci presentiamo al check-in pronti per imbarcare le bici, quando i passaporti non ricevono l’autorizzazione. La hostess di terra mi chiede se abbiamo provveduto a fare il visto. Rispondo sicuro che per andare in Nuova Zelanda per fini turistici il visto non serve, avendo verificato prima di comprare i biglietti, ad inizio settembre.
Sfortuna ha voluto che da ottobre sia stato introdotto l’obbligo di visto elettronico, simile all’ETSA che serve per gli Stati Uniti.
Panico. Mi viene spiegato gentilmente che non abbiamo alcuna possibilità di partire, almeno per la giornata di oggi, in quanto il visto non è immediato. Un inflessibile responsabile cinese della Southern China ci dice che, anche se la normativa è cambiata, la compagnia non era tenuta ad informarci, pertanto non saremmo stati riprotetti su un altro volo. Se vogliamo partire dobbiamo comprare un altro biglietto, a prezzo pieno, nella prima data disponibile.
Mentre cerco di provare a fare il visto online, Monica, la gentilissima hostess di terra, mi suggerisce di provare ad andare al primo piano dove c’è una agenzia di viaggi che fa i visti. Lei avrebbe atteso fino all’ultimo per farci la carta di imbarco. Dudu ed io ci precipitiamo al primo piano, mentre Micky e il Miche rimangono con le biciclette.
Al costo di 28 euro di tasse più 30 euro di commissione a visto inoltriamo a tempo di record quattro richieste. Due operatori lasciano ciò che stanno facendo e si mettono a lavorare per noi. I visti sono pronti giusto in tempo, ora possiamo correre al check-in che sta per chiudere. Partiamo. Felici andiamo verso il gate.
Lesson learned: controllare accuratamente almeno un mese prima della partenza se è cambiata qualche normativa.
Saliamo in aereo mentre la tempesta di tuoni e fulmini che imperversava fuori lascia il posto ad un bellissimo arcobaleno. Noi lo interpretiamo come un buon segno.
Il volo prevede uno scalo tecnico a Wuhan per il rifornimento, dopodiché scalo a Canton o Guangzhou per i cinesi. Da li prenderemo un volo per Auckland, dove ritireremo i bagagli e prenderemo un volo interno per Nelson.
L’aereo è un 787 non recentissimo; lo spazio per le gambe è poco e i sedili sono piuttosto scomodi. In compenso il servizio a bordo è impeccabile e il cibo abbondante.
Due ore di scalo tecnico a Wuhan diventano una occasione per farci degli accurati controlli. Facciamo almeno tre controlli con tre poliziotti diversi che ci prendono tutti i dati possibili. Saliamo di nuovo sul nostro aereo al solito posto per un’ora e mezzo scarsa di volo verso Canton.
Dopo un’altra sessione di scrupolosi controlli e file interminabili ci imbarchiamo alla volta di Auckland dove arriveremo dopo undici ore. Accanto a me e Dudu ragazzo cinese con il raffreddore.
Nella cultura orientale è maleducazione soffiarsi il naso in pubblico, pertanto il nostro compagno di viaggio continua a tirare su, rumorosamente per tutte le undici ore che ci separano da Auckland. A parte il fastidio a sentirlo, ma a me dopo un’ora sarebbe venuta una sinusite da ricovero d’urgenza in ospedale. Il ragazzo, originario di Canton, sta andando per dieci giorni di vacanza in Nuova Zelanda. Ha studiato in Inghilterra, parla un ottimo inglese ed è curioso.
Albeggia quando atterriamo a Auckland. La prima sensazione è quella di trovarsi in una terra ospitale e di persone cortesi. C’è da affrontare i controlli, che qui sappiamo essere molto scrupolosi. Oltre ai soliti controlli di rito ci mettiamo in fila per i controlli da contaminazioni biologiche. Vogliono preservare il loro ecosistema evitando accuratamente che siano importati, anche solo incidentalmente animali, insetti, piante o semi potenzialmente invasivi.
Prima ci chiedono di smontare le ruote delle bici per lavarle accuratamente e eliminare ogni traccia di terra. Poi prendono la tenda per un controllo approfondito, poiché essendo usata, potrebbe avere delle larve o degli insetti alieni. Questi controlli supplementari ci richiedono oltre un’ora.
Abbiamo abbastanza margine, ma dobbiamo comunque sbrigarci per non perdere la coincidenza. Facciamo ora il check-in per il volo interno che ci porterà a Nelson. Anche qui siamo costretti a fare il gioco delle tre carte pesando sempre le solite due biciclette che non superano sicuramente i 23kg. Purtroppo alla consegna dei bagagli fuori misura, benché già etichettate, le bici sono pesate una ad una prima di essere poste sul nastro trasportatore. La prima volta che ci succede. Per pura benevolenza l’addetto non ci fa pagare una sovrattassa per le due bici che superavano di 1kg e 2,8kg il limite di peso consentito.
Prima di salire sull’aereo facciamo un pranzo veloce. Dudu da Mac Donald prende subito un Kiwi Burger. È un tipico panino neozelandese, ora inserito anche nel menù di McDonalds. Quello che da noi può essere considerato un hamburger gourmet. Si tratta di un semplice hamburger che prevede, oltre ai classici insalata, pomodoro e salse, anche le barbabietole e un uovo fritto.
Finalmente saliamo sull’aereo, un piccolo e vecchio ATR 72 a eliche della Air New Zealand. L’accesso agli aerei piccoli, per voli nazionali, è gestito da un terminal poco distante da dove siamo che raggiungiamo a piedi. Per salire sull’aereo nessun controllo di sicurezza, come salire su un autobus.
Ci sediamo due da un lato e due dall’altro lato del corridoio. Il cielo è limpido e, da questo traballante volo, possiamo vedere quanto siano verdi queste terre. Ci ritroviamo appiccicati ai finestrini come bambini.
Dopo un’ora e mezzo di volo arriviamo a Nelson. Ritiriamo le bici e ci mettiamo a rimontarle subito fuori dell’aeroporto. La conta dei danni dice: fanalino posteriore rotto per Micky e disco del freno anteriore storto per me.
Ci mettiamo in sella per affrontare i pochi chilometri che ci separano dal nostro hotel, una specie di villaggio con dei bungalow, “cabins”. Ci sistemiamo nella cabin 72. Quattro letti, un frigo, un bollitore, un tostapane e abbastanza posto per mettere anche le bici. Bagni e cucina in comune.
Per quando siamo stanchi andremmo subito a dormire, ma dobbiamo arrivare alla sera per cercare di smaltire il più in fretta possibile il jet lag. Prendiamo le bici e andiamo ad un supermercato distante 5 chilometri, così iniziamo a vivere la Nuova Zelanda.
Il supermercato si trova dall’altra parte di una collina. Due micidiali chilometri e mezzo di salita, senza tregua. Micky, Dudu e il Miche mi aspettano sulla cima della collina, mentre io scendo a fare la spesa.
I prodotti non sono affatto economici. In media costano più che in Italia. Ne esco con una cena a base di pollo allo spiedo e verdure, qualcosa per la colazione e l’alcol per accendere i nostri fornellini, che nei prossimi giorni ci serviranno.
Dopo una lunga doccia e una cena soddisfacente è ora, finalmente, di andare a letto. Si concludono così due giorni di viaggio impegnativi. Da domani in sella!